Torniamo come ombre, di Paco Ignacio Taibo II (traduzione di Silvia Sichel; La Nuova Frontiera), è dal mio punto di vista il suo miglior romanzo. Probabilmente il fatto che sia il testo che più abbia influenzato la struttura dei miei, di romanzi, lo colloca in una posizione privilegiata. In ogni caso nelle 480 pagine c’è tutto quello che serve per fare felice un lettore: sommergibili nazisti nel Mar dei Caraibi, Montezuma e Carlo Magno, Graham Greene, Ernest Hemingway che fa scoppiare mortaretti con i bimbi de L’Avana, cinesi nati nello stato di Sinaloa reduci dalla Lunga marcia, Camice brune nella selva del Chiapas, giornalisti disillusi, il caos messicano, riflessioni sulla nascita dei personaggi, postille di Storia. In sintesi: un capolavoro. PIT II riunisce i quattro protagonisti de L’ombra nell’ombra e intervalla e interseca le loro avventure con quelle di personaggi reali e fittizi, costruendo una riuscita e caleidoscopica opera che è un miscuglio tra spy-story, noir, romanzo storico e un non-manuale per scrittori.
Friday Black, di Nana Kwame Adjei-Brenyah (traduzione di Martina Testa; Edizioni SUR), è una raccolta potente e grottesca di dodici racconti che hanno una matrice comune: la follia delirante a cui ci sta portando la società del consumo. Con uno stile e tematiche che sono un mix tra Black Mirror e Anthony Burgess, l’autore statunitense di origine ghanese ci porta in un parco a tema dove ricchi Wasp possono sparare (a salve) ad attori neri che impersonano malviventi; fa dialogare il killer e la vittima di una sparatoria in una scuola che dopo morti cercano di prevenire altre stragi; muove attivisti posseduti dalla Nerezza che rispondono con spropositata violenza alla sentenza di assoluzione per un omicida bianco; dipinge consumatori barbarici pronti a uccidere e calpestare loro simili per avere capi d’abbigliamento in un centro commerciale durante il santificato giorno di sconto del Black Friday. Disuguaglianze, tensioni razziali, consumismo abbruttente diventano le tematiche di questo mosaico distopico. Una miscellanea tra post-realismo, satira, fantascienza e horror. Un ottimo esordio.
69 Sixty-Nine, di Murakami Ryū (traduzione e postfazione di Gianluca Coci; Atmosphere Libri), è un romanzo “quasi” autobiografico che racconta in presa diretta, con uno stile scarno e pieno di vitalità, il Sessantotto giapponese a Sasebo, una cittadina portuale dominata da un’imponente base navale americana. Il protagonista, il 17enne Ken, con l’aiuto del fidato Adama e di altri compagni di classe, organizza prima le barricate a scuola e poi un festival di teatro, arte, cinema e rock, il tutto per conquistare Matsui “Lady Jane”, la ragazza di cui è innamorato. Un romanzo dove la cultura rock, il cinema sperimentale, la ventata di rivoluzione portata dai movimenti studenteschi occidentali e dai musicisti anglosassoni strabordano dalle pagine. Un affresco memorabile, spassoso, avvincente, un mix tra una storia di Hayao Miyazaki, in camicia floreale e jeans a zampa, e una lunga suite blues-rock psichedelica.
Gli assassini, di Elia Kazan (traduzione di Ettore Capriolo; Centauria), ristampato dopo molti anni, forse è il romanzo più riuscito e ambizioso del regista e scrittore statunitense. Un’immersione quasi mansoniana nell’altra America, un confronto spietato tra un gruppo di giovani spiantati, interpreti grotteschi della contestazione giovanile, e l’apparato repressivo e ottuso della legge. Siamo in una cittadina del New Mexico sul finire degli anni Sessanta. Un sergente dell’aeronautica militare statunitense di origine messicana, votato al patriottismo e alla disciplina, commette un omicidio dopo che la figlia maggiore scappa per vivere nel deserto in una comune, dove si lascia sedurre da uno spacciatore che appunto verrà assassinato. Un romanzo che miscela il legal thriller con la critica sociale: padri e figli accomunati dalla poetica della violenza; la crudeltà della disciplina militare; la chiusura della falsa libertà comunitaria. Un libro pieno di colpi di scena, un ritmo narrativo che non ha mai sussulti, dialoghi riuscitissimi, un punto di vista ottico e cinematografico che lo rende ancora più avvincente.
Due delitti, di Jorge Ibargüengoitia (traduzione di Angelo Morino; La Nuova Frontiera), inizia con una fuga: Marcos, giovane architetto e militante politico e la sua compagna, la Chamuca, lasciano Città del Messico dopo aver saputo dalla portinaia del palazzo che la polizia li sta cercando, convinti che “la polizia è capace, quando così le gira, di addossare qualsiasi delitto al primo che capita”. I due si separano alla stazione degli autobus, e mentre la Chamuca trova rifugio da una sua cugina, Marcos va a casa di uno zio facoltoso dove deve confrontarsi in un delirio di rancori, paranoie e bugie che travolge tutta la famiglia, fino a sfociare in due delitti. Un romanzo straordinario, giocato sulla linea di confine tra il poliziesco, la critica sociale e la narrativa psicologica. Un’opera veloce e ipnotizzante, riuscita grazie alla maestria linguistica di uno degli autori più importanti, coraggiosi e originali della letteratura messicana.
Rue de Berne, numero 39 (traduzione di Sándor Marazza; 66thand2nd), romanzo d’esordio dello scrittore camerunense Max Lobe che gli valse il Prix du roman des Romands nel 2014, è una sagace, cruda e intensa storia costruita dentro il quartiere a luci rosse di Berna, dove Dipita è cresciuto. Finito in carcere ricostruisce la saga della sua famiglia, partita da un villaggio del Camerun per approdare in Svizzera. È la storia di sua madre, obbligata a prostituirsi ancora minorenne. È la storia personale di Dipita, della scoperta della propria omosessualità, del confronto tra culture, del rapporto degli immigrati di seconda generazione con l’opulenza che li circonda. Come negli altri suoi romanzi, Max Lobe riesce, grazie a un linguaggio semplice, ironico e colorito, a raccontare le paure e le gioie quotidiane dell’uomo sradicato, suo malgrado, che fa della propria diversità la sua arma di sopravvivenza.
Iran, 1979, di Antonello Sacchetti (prefazione di Chiara Mezzalama; Infinito Edizioni), è un testo che prende il via dai giorni drammatici della rivoluzione (anche se la prima parte è un excursus su quello che è accaduto precedentemente) e racconta quello che ha portato alla nascita della repubblica islamica, fino all’hokm, il giudizio religioso, emanato da Khomeini poco prima della morte nei confronti dello scrittore Salman Rushdie, fatto che trasformò la Guida nel miglior agente letterario inconsapevole della Storia. Intervallato da testimonianze dirette, supportato da un confronto sincero con altri testi critici e da un puntiglioso lavoro storiografico, il libro, seppur non aggiunga molto ai racconti dei macroeventi del contesto iraniano già affrontati da altri autori, grazie alla conoscenza di Sacchetti ha la capacità di immergere il lettore in una realtà altra, di mostrare una visione obiettiva e affascinante della storia dell’Iran contemporaneo. Un glossario della rivoluzione e una cronologia ragionata forniscono un ulteriore tassello per la riuscita complessità dell’opera.