Il leader della comunità indigena Waiãpi, Emyra Waiãpi, è stato trovato morto ed evirato nella riserva indigena dello stato brasiliano dell’Amapà, probabilmente per mano di un gruppo di grilheiros, i nuovi cercatori di materie prime. Il Brasile è il quarto Paese al mondo per ambientalisti uccisi. Ma il presidente non frena sui permessi per le attività estrattive: "Nessuna prova forte"
Il rapporto dell’ong Global Witness che colloca il Brasile al quarto posto nella classifica dei paesi per uccisioni di attivisti in difesa dell’ambiente è stato pubblicato a settantadue ore di distanza dall’omicidio di Emyra Waiãpi. Il leader della comunità indigena Waiãpi è stato trovato morto ed evirato nella riserva indigena dello stato brasiliano dell’Amapà lo scorso venerdì. Sin dalla scoperta del corpo senza vita di quello che era uno dei maggiori attivisti del paese in difesa della tutela dei territori e delle comunità originarie, le denunce dei familiari e tutti gli indizi raccolti hanno portato a un gruppo di grilheiros, esploratori intenzionati a invadere le riserve indigene amazzoniche per poterne estrarre i materiali preziosi del quale il sottosuolo è ricco.
Da mesi le denunce della presenza di questi gruppi si sono intensificate in virtù dell’ormai prossima legalizzazione delle concessioni per le attività estrattive annunciata a più riprese dal presidente Jair Bolsonaro. Nell’attesa, i grilheiros si portano avanti con il lavoro, certi della copertura da parte del governo che, almeno in questa occasione, non si è fatta attendere. È stato infatti Bolsonaro in persona, intervenuto a gamba tesa nel dibattito, a dire che gli elementi raccolti dalla Fondazione Nazionale Indios (Funai) e dalla Procura della Repubblica (Mpf) che indagano sull’omicidio non forniscono “nessuna prova forte” che il leader indios sia stato assassinato. Una negazione dei fatti contestata da più parti.
In una nota, la Funai ha confermato di aver denunciato da tempo la presenza di invasori in tutta la regione. Una presenza che ha contribuito a creare un evidente clima di tensione intorno alla riserva Waiãpi. Solo pochi giorni fa la fondazione aveva segnalato la presenza di gruppi di 10-15 “non indios” con armi di grosso calibro in tutta l’area dove “il clima di esaltazione è alto”. Chi ha contribuito a generare l’esaltazione degli speculatori è, per l’Onu, il governo Bolsonaro. L’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, nel condannare l’uccisione del leader indigeno, ha invitato il governo a riconsiderare la sua proposta di concedere all’esplorazione speculativa di aree protette dell’Amazzonia dove vivono le comunità locali affermando che “la morte degli indigeni è un sintomo inquietante del crescente problema dell’invasione delle terre indigene, in particolare delle foreste, da parte di minatori, taglialegna e agricoltori. Esorto il governo brasiliano ad agire con fermezza per fermare l’invasione dei territori indigeni e garantire l’esercizio pacifico dei loro diritti collettivi sulle loro terre”, ha affermato Bachelet.
Di fronte a questa presa di posizione il presidente ha ancora una volta confermato i suoi propositi di regolamentare l’estrazione mineraria, ribadendo anche la volontà di legalizzare l’attività di estrazione dell’oro in tutto il Paese, incluse le terre indigene. Una corsa alle pepite che secondo la procura dello stato del Roraima ha fatto emergere il rischio di un “genocidio”, laddove “lo sfruttamento criminale delle riserve d’oro è aumentato considerevolmente, portando a nuovi conflitti, epidemie, sfruttamento del lavoro, inquinamento ambientale, riduzione delle risorse ambientali, disintegrazione delle comunità, sovraccarico del sottosistema di salute indigena e rischi di decimazione o genocidio di gruppi isolati”. Secondo la lettura di Bolsonaro invece, le pressioni della comunità internazionale e delle ong a tutela delle terre e delle comunità indigene da un lato sono condannabili “perché vogliono vedere gli indigeni intrappolati in uno zoo come se fossero animali preistorici”, dall’altro nascondono l’intenzione di “avere la sovranità amazzonica per loro”.
Quale sia l’attitudine e il garbo istituzionale di Bolsonaro nei confronti delle critiche della comunità internazionale sul tema è emerso ancora una volta in maniera chiara questo lunedì quando il presidente brasiliano ha cancellato all’ultimo minuto l’incontro in agenda con il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, a causa di impegni non considerati in agenda. Tuttavia nell’orario stabilito per la visita di Stato, il presidente si è fatto riprendere in un video dal vivo su Facebook mentre era dal barbiere. Una evidente provocazione anticipata da una serie di affermazioni forti lanciate in mattinata: “Accoglierò con favore il ministro francese se non sbaglio per affrontare questioni ambientali, ma non accetterò che mi parli in modo maleducato, dovrà capire che il governo del Brasile è cambiato e che la sottomissione che abbiamo avuto in passato con altri capi di Stato del primo mondo non esiste più”, ha detto Bolsonaro nel corso di un incontro con la stampa nel palazzo presidenziale. “Se fossi stato uno di quei governi, una volta tornato da Osaka (Giappone) dopo la riunione del G20, avrei identificato altre 10, 15 o 20 riserve indigene”, ha affermato, lamentandosi del fatto che il presidente francese, Emmanuel Macron, e la cancelliera tedesca, Angela Merkel, lo avevano invitato a espandere i territori protetti nel Paese durante l’ultimo incontro delle maggiori economie del mondo. “Le demarcazioni di terre indigene stanno rendendo le nostre attività irrealizzabili. Il Brasile è nostro, l’Amazzonia è nostra e nessuno ha l’autorità di discutere la questione ambientale con noi”. Neanche le comunità indigene amazzoniche.