In God we trust è stampato sul retro dei biglietti verdi chiamati dollari. Ci fidiamo di dio, crediamo in dio, ci rimettiamo a dio. Il dio invisibile dell’Occidente appare per poi scomparire nell’invisibilità del sistema. Comanda, esige, detta comportamenti e opzioni di vita. La moneta lo materializza per poi diluirlo in una parodia di religione che tutto pervade e organizza. Un dio senza faccia e senza nome che prende in prestito tutto quanto gli serve per portare a compimento il suo piano di conquista imperiale. Un dio che fa dell’assenza e del vuoto l’orizzonte verso il quale andare che, come tutti gli orizzonti, si sposta più in là, avvicinandosi. Chi ritorna da lontano, dopo una parvenza di allontanamento dall’Occidente, lo nota come fosse una maschera che tutto ricopre e imprigiona. Il dio invisibile possiede piani e strategie di occupazione di ambiti, territori, usi e costumi. E’ invasivo e pervasivo come solo chi tutto manipola può osare compiere. Il suo primo ambito di svuotamento avviene nelle parole che, colonizzate e poi espropriate del loro senso e vocazione, si trasformano in temibili veicoli di menzogna. Detta operazione, facilitata dagli attuali mezzi di comunicazione, costituisce il primo e decisivo passo della falsificazione della realtà che del dio invisibile è la condizione fontale. Il delitto semantico, che consiste a sopprimere il significato proprio delle parole, è all’origine dei crimini che sono poi perpetrati in suo nome. Il delitto di solidarietà ne costituisce un esempio che, seppur parziale, bene ne esprime la deriva.
In God we trust è stampato, come marchio registrato, sulla cancellazione della memoria di tutto quanto può far ricordare che prima c’era un’altra realtà. Esattamente come quanto accade in Palestina nel momento in cui l’esercito e lo stato di Israele distruggono le case di quanti hanno osato ribellarsi alla violenza del sistema. C’erano fabbriche, luoghi di vita e di resistenza, legami di storie e lotte per affermare che la giustizia non si baratta con niente. C’erano casolari e orti e orari per irrigare e alberi da frutto che cambiavano di colore annunciando la primavera o l’inverno. Le ore non erano vuote di senso e persino i temporali erano l’occasione per accendere una candela alla finestra per scongiurarne gli effetti nefasti. Tutto questo è stato cancellato da palazzi con appartamenti residenziali e supermercati alimentari che trasformano il paesaggio in una grande fiera commerciale. Si abbatte tutto quanto poteva avere e portare il sapore dell’operaio e del contadino nella vita e nei rapporti umani del quotidiano. Chi arrivasse per la prima volta in quella parte della città non potrebbe mai sospettare che in quel luogo c’erano tute lavorative e operai che fumavano, imprecando contro il padrone epperò pronti a difendere la fabbrica dagli invasori.
In God we trust è stampato sulla mente dei cittadini. Il dio invisibile, che svilisce le parole rubandone il significato autentico, apre la porta alla menzogna sulla realtà, opera una cancellazione sulla memoria e compie l’ultimo e decisivo passo. Tutti consumatori di tutto è il marchio definitivo e il sigillo posto all’impero di questo dio invisibile. Aree geografiche sempre più aperte ai mercati, la guerra come mezzo per renderli docili e l’allargamento globalizzato del consumo fino all’ultimo centimetro dell’umano. Non ci sono ambiti che possano dichiararsi esenti dal processo di adeguazione al consumo che si trasforma in religione dominante e ultimativa del sistema in questione. Da bambini, dall’utero materno (dei poveri) in affitto, dai primi giorni di vita, dai primi passi, dai primi vagiti, dalle prime attività scolastiche e sportive, dall matrimonio per tutti, al lavoro a tempo indeciso, dagli organi umani mercanzia per i possidenti, tutto è consumato e consumabile. Il dio invisibile ha vinto quello che voleva, il signore del mondo degli anelli che tutto sembrano avvincere e avvolgere come una grande catena della schiavitù delle mercanzie.
In God we trust è stampato sulla sabbia del Sahel e del Niger appena lasciato che oggi festeggia l’indipendenza mai accaduta piantando un albero. Il vento ha cancellato per sempre lo scritto.