Politica

Giulia Bongiorno, fenomenologia della Guardasigilli-ombra della Lega

Davvero si merita l’appellativo di grande giurista, di principessa del Foro, chi ignora la differenza tra un’assoluzione e una prescrizione? E chi tale differenza conosce, eppure fa finta di niente, può essere preso/a sul serio nella sua pretesa demiurgica di razionalizzare/modernizzare una giustizia zavorrata dal ruolo di unico contropotere ancora in funzione?

Tanto per capirci, si parla dell’avvocato Giulia Bongiorno, la cinquantenne in carriera che a 27 anni assunse la difesa di Giulio Andreotti dall’accusa infamante di aver tramato insieme a Cosa Nostra. Un processo che si trascinò dal 1993 al 2004. Sicché – come ha scritto Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte nel suo libro La verità sul processo Andreotti – “l’appello del 2003 decretò il ‘non doversi procedere… in ordine al reato di associazione per delinquere… commesso fino alla primavera del 1980, per essere lo stesso reato estinto per prescrizione‘. Nel 2004 la Cassazione confermò riga per riga. Fine della storia. Fino al 1980 Andreotti ha ‘commesso’ il reato di associazione per delinquere con Cosa Nostra (il reato di associazione mafiosa, il 416 bis, è stato introdotto soltanto nel 1982), che però è prescritto. Il giubilo della Bongiorno sorvola su questo non trascurabile dettaglio: Andreotti quel reato lo ha comunque ‘commesso'”. Infatti la giovane avvocatessa incassava il suo primo quarto d’ora di celebrità alla fine dell’interminabile iter esibendosi nella gag da stadio del triplice urlo davanti alle telecamere “Assolto! Assolto! Assolto!”. Un’uscita (studiata?) dall’abituale cliché “in penombra”, molto sicilian style, di questo personaggio sul robotico; indecifrabile come il suo volto, che sembra celarsi dietro a una maschera.

Comunque un messaggio a chi di dovere, rivelatosi oculato investimento sul futuro. Perché la scelta andreottiana giovanile, con relative fake news a uso dei media, qualcosa ci dice sul personaggio all’arrembaggio: la predilezione per il lato oscuro del potere, alla ricerca di una cooptazione a fronte della spregiudicata disponibilità al lavoro “non propriamente candido” di intorbidamento della realtà. Con una attitudine alla scalata in politica sempre sul lato della reazione, ma senza troppe remore di coerenza e selettività. Come viene, viene. In una giostra di casacche indossate da lasciare senza fiato persino un Fregoli: nel 2006 eletta deputato nelle liste dell’Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, due anni dopo riconfermata sotto i vessilli berlusconiani del Partito della Libertà, poi il flop in area Mario Monti del 2013, infine l’arrivo alla grande in Senato al seguito della Lega di Matteo Salvini. Con una sola linea di continuità: tutti sponsor che ne apprezzavano/apprezzano il forte sentire da guardiana dell’establishment (ma quello italiano, che in realtà è solo una Casta di presidiatori dei propri privilegi alla faccia dei cittadini e della democrazia ridotta a chiacchiera).

Difatti oggi la Bongiorno, preposta in sede ministeriale alla Funzione Pubblica, in realtà svolge la funzione di Guardasigilli Ombra della Lega (oltre che di consulente legale di Salvni, per bloccarne eventuali pulsioni legalitarie. Come nel caso della temporanea idea di farsi processare per la storiaccia della Diciotti). Icona dei manipoli di giovanotti e giovanotte in carriera, in prevalenza nell’area della comunicazione (dai Rocco Casalino Cinquestelle alla “Bestia” salviniana), arruolati in età giovanile al cinismo del “così fan tutti”. Nella dissoluzione dell’ethos civile e dei principi che dovrebbero ispirare la politica. Gente che – come è stato detto – conosce il prezzo di tutto e il valore di nulla.

Sarà molto difficile con questa fauna installata ai piani anche nobili dei Palazzi rifondare un discorso pubblico decente che rianimi un corpo elettorale fatalista e/o aventiniano. Come suona fuori moda la risposta che Albert Camus dava a quanti si facevano belli della mediocre sentenza per cui “il fine giustifica i mezzi”: “E chi giustificherà i fini?”