La narrazione del Carroccio sulla presunta politica ostruzionistica del ministro delle Infrastrutture appare smentita dal punto sui primi 14 mesi di governo, in cui il Mit ha fin qui sospeso solo la Gronda di Genova, avendo già avviato gli iter sul nuovo ponte Morandi e dall'ok al Terzo Valico. Dal Veneto alla Calabria, diverse le analisi costi-benefici che hanno dato esito positivo. Resta, fin qui, la decisione di allontanare le navi da crociera dalla laguna di Venezia, mentre c'è attesa per l'esito della partita Alitalia, che coinvolge anche il raddoppio dell'Aeroporto di Fiumicino
“Toninelli blocca le grandi opere“. E’ “il ministro del no“. Il mantra leghista non accenna a placarsi. Gli esponenti del Carroccio, Salvini in testa, puntano il dito sul titolare delle Infrastrutture e Trasporti, il più arcigno difensore delle istanze No Tav. Ma, ferrovia Torino-Lione a parte, è vero o no che Danilo Toninelli – e di conseguenza il M5S – stanno davvero facendo ostruzionismo nei confronti dei grandi cantieri, bloccandoli o ritardandoli?
Diverse sono invece le riflessioni sui “costi e benefici“, cui seguono i progetti mai partiti e i cantieri infiniti, in continuità con gli ultimi 25-30 anni. Considerando che – pur in assenza della firma del suo titolare – il Mit ha dato da pochi giorni il via libera al Tav Torino-Lino, ad oggi esiste una sola grande opera, fra quelle i cui iter sono già avviati, ufficialmente “sospesa“: la Gronda di Genova. Uno stop dettato ufficialmente dall’incertezza sulla procedura di ritiro della concessione nazionale alla società Autostrade. L’altro grande ‘niet’ – per ora – del ministro pentastellato è sul progetto, ancora sulla carta, del molo alternativo per le Grandi Navi a Venezia. Un piano proposto dalla Lega, del quale il Movimento non vuole sentire parlare, preferendo spingere per mandare via le navi da crociera dalla laguna. Su quasi tutto il resto, Toninelli non ha fin qui messo veti, attirandosi in alcuni casi le istanze di delusione provenienti da tanti comitati territoriali, convinti che il M5S una volta arrivato al governo avesse potuto chiudere la porta alle opere contestate. Non è un caso se nell’ultima riunione il Cipe abbia incrementato di 15,4 miliardi il piano quadriennale 2017-2021, sui 50 miliardi totali (definanziamenti per circa 500 milioni).
IL CASO GENOVA: STOP GRONDA, OK TERZO VALICO – La scorsa estate, il crollo del Ponte Morandi ha fatto tornare d’attualità il dibattito sulla “Gronda” di Genova, una nuova connessione autostradale da 61 km, di cui ben 50 km in galleria, che dovrebbe unire Genova Est, Genova Bolzaneto (autostrada per Milano) e Vesima (direzione Ventimiglia). Proprio per la complessità – anche ambientale – dell’opera e il suo costo stimato, 4,2 miliardi, il progetto è da sempre osteggiato dai comitati locali. Il 7 settembre 2017, dopo percorso burocratico durato 8 anni, l’ex ministro Graziano Delrio ha firmato il decreto che ne sancisce l’approvazione e l’interesse pubblico. Ma quanto accaduto nell’agosto 2018 e l’avvio del contenzioso legale con la società Autostrade hanno cambiato le carte in tavola. Così il 18 luglio scorso, Toninelli ha annunciato ufficialmente la sospensione dell’iter autorizzativo: “E’ in corso di avanzamento il procedimento amministrativo che potrebbe portare alla revoca della concessione“, ha dichiarato l’esponente pentastellato. Tutto ciò un mese dopo l’abbattimento dei piloni residui e dall’avvio della ricostruzione del ponte crollato.
Contestualmente, però c’è stata la netta accelerazione sul cosiddetto Terzo Valico di Giovi, il collegamento ferroviario fra Genova e Milano cui Toninelli, ai tempi dell’opposizione, si era sempre detto contrario. “Uno dei tanti dossier avvelenati che ci hanno lasciato i professionisti della politica, ma che abbiamo affrontato senza pregiudizi“, è stato costretto a dichiarare il 13 dicembre 2018, annunciando che l’analisi costi-benefici effettuata sul progetto aveva palesato il rischio di perdite per 1,2 miliardi di euro. Il 16 luglio scorso, a sorpresa, sempre Toninelli ha proposto a Palazzo Chigi la nomina a commissario dell’opera di Marco Rettighieri, fra i “padri” della Tav Torino-Lione, dimessosi dai vertici della capitolina Atac a ottobre 2016 in polemica con Virginia Raggi.
IN VENETO SI SBLOCCA TUTTO, MA NO ALLE GRANDI NAVI – Poche resistenze – meno di quelle attese – in questo anno di governo del Mit sulle opere venete. Alla presidenza del governatore leghista Luca Zaia, lo scorso 22 giugno Toninelli ha tranquillizzato sull’andamento degli iter destinati al completamento della superstrada Pedemontana, opera lumaca avviata dall’ex ministro Antonio Di Pietro ai tempi del primo governo Prodi. Mentre il M5S in Regione Veneto continua a dirsi contrario, nell’aprile scorso il titolare delle Infrastrutture ha firmato il decreto sull’atto aggiuntivo necessario allo sblocco dopo il cambio ai vertici della società concessionaria.
“Si è insediato il tavolo tecnico con Rfi per risolvere il nodo dell’innesto sulla A4 a Montecchio”, aveva detto a giugno Toninelli, parlando dei conflitti burocratici con un’altra opera molto “discussa” nel Nordest, ovvero la Tav Brescia-Verona-Padova. “Con l’analisi costi benefici, che è praticamente pronta e che non ha causato un solo giorno di interruzione nella procedura, la Brescia-Verona sarà resa efficiente e sostenibile, nel pieno rispetto dei soldi dei cittadini e dell’interesse pubblico”, aveva dichiarato il ministro a L’Arena il 12 marzo 2018, lasciando intendere dunque che l’opera proseguirà fino a Padova. Affermazione confermata a maggio scorso, quando alle affermazioni social di Matteo Salvini (“La Tav veneta è ostaggio del Mit”) è seguita a stretto giro la pubblicazione delle slide di Rfi che smentivano il capo leghista. “Vuol dire che l’ho sbloccata io”, ha poi replicato il vicepremier.
Se c’è un tema su cui Toninelli non vuole trattare, invece, è quello delle navi da crociera nella laguna di Venezia. L’incidente del 2 giugno e quello sfiorato durante la bufera del 7 luglio hanno spinto il Mit a ribadire la contrarietà all’ingresso delle Grandi Navi – che ad oggi continuano a entrare – nel canale della Giudecca. Il sindaco leghista Luigi Brugnaro teme di perdere l’indotto turistico (e monetario) dei croceristi e spinge per un progetto alternativo. L’obiettivo leghista e far attraccare le navi a Porto Marghera facendole passare attraverso il Canale dei Petroli: sarebbe necessario scavare il Canale Vittorio Emanuele III, in disuso da anni, i cui fondali sono molto bassi, con movimentazione prevista dai 5 ai 7 milioni di metri cubi di fanghi. Toninelli si tiene per ora sulla posizione del Comitato No Grandi Navi e spinge per farle restare fuori dalla laguna. Al contrario, si va avanti veloci sul completamento del Mose: qui il titolare del Mit sta lavorando alla nomina di un commissario ed ha anche proposto una “tassa” per finanziare la parte mancante.
I VIA LIBERA CONTESTATI DAI TERRITORI – Che il “ministro del No” vada in giro per l’Italia a sbloccare opere, contestate da anni da una parte dei territori, è il grande paradosso di questo primo anno di governo. Il 20 marzo 2019 è arrivato l’ok alla bretella autostradale Campogalliano-Sassuolo – i cui lavori erano fermi da 17 anni – contestata pubblicamente appena un anno prima dal sottosegretario, Marco Dell’Orco. Caos nella base del M5S anche per l’ok al Passante autostradale di Bologna, con il nulla osta a un progetto alternativo che ha fatto arrabbiare non poco i consiglieri comunali pentastellati. Le rassicurazioni dunque ci sono, anche se si attende il via libera definitivo del Mit.
Stesso destino per l’allargamento dell’A11 Firenze-Pistoia, che il Mit ha sbloccato ufficialmente l’11 aprile scorso e che oggi viene messo in dubbio soltanto dal destino della concessione ad Autostrade (la prima pietra prevista nel 2020). Iter incardinato anche per la discussa Statale Jonica, 38 km sulla costa calabrese per 1,3 miliardi di costo, che unirebbe Sibari a Roseto Capo Spulico (Cosenza), con gallerie, ponti, viadotti e svincoli che lo stesso Toninelli – ai tempi dell’opposizione – aveva contestato. E poi c’è il caso del tunnel del Brennero, opera che – a parte il noto ‘lapsus’ del ministro – è già a buon punto. “Non si può non fare, ma bisogna farlo meglio“, aveva affermato l’esponente pentastellato a inizio anno, confermando che si andrà a conclusione entro il 2026 della realizzazione dei 64 km per quasi 10 miliardi di investimenti.
Insomma, l’azione del ministro pare agitare più i comitati del No che i fautori della realizzazione delle opere pubbliche a ogni costo. A questo proposito, c’è un’altra, grossa questione che da qualche tempo hanno messo in allarme soprattutto il litorale laziale. Riguarda il progetto di raddoppio dell’Aeroporto di Fiumicino, depositato da tempo dalla società Atlantia – di cui è azionista, al 30% la holding di proprietà della famiglia Benetton – ipotizzato ai tempi del governo Berlusconi. Un piano da sempre contrastato dal M5S, dagli ambientalisti e dal centrosinistra – anche quello che governa la Regione Lazio – Ma la notizia di un ingresso proprio del gruppo Atlantia in Alitalia, negli ultimi giorni, ha messo in agitazione i comitati, con i membri dell’Esecutivo che non si sono ancora espressi, in un delicato equilibrio fra i dossier legati a Autostrade, Alitalia e, appunto, al principale hub aeroportuale italiano.
I “PROGETTI ALTERNATIVI” E LE ANALISI SUI COSTI – Dalla Tav alle opere regionali, va detto che l’utilizzo dell’analisi costi-benefici è stata una costante nell’azione ministeriale. In alcuni casi, la Lega ha imputato a questi “momenti di riflessione” il rallentamento di alcuni progetti. Ma è vero? Partiamo dal completamento dell’A33 Asti-Cuneo, il cui ultimo tratto è atteso da 30 anni. L’ex ministro Delrio aveva già presentato un progetto alternativo a quello storico “sotterraneo“, facendo riemergere in superficie la parte mancante. Piano poi “migliorato” dal governo Conte con l’obiettivo di “risparmiare 213 milioni“. Peccato, come raccontato da Il Fatto Quotidiano a giugno, che l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (Art) abbia rilevato diverse criticità nel nuovo accordo trovato con i concessionari del gruppo Gavio, tanto da costringere i tecnici a una nuova revisione.
Prosegue invece il braccio di ferro sull’Autostrada Mantova-Cremona. Il Cipe ha finanziato 340 milioni di euro per il raddoppio del primo lotto Mantova-Piadena il cui costo totale è di 450 milioni di euro. Un’opera di competenza regionale per la quale “il ministero monitorerà la sostenibilità del piano economico, ma non approveremo nessun piano che preveda pedaggi altissimi per il pagamento dell’opera”. Situazione simile anche per l’Autostrada Cispadana, che collegherà i caselli di Reggiolo-Rolo sull’A22 e quello di Ferrara sud sull’A13, di competenza regionale. “Se la vogliono fare, devono trovare i soldi“, ha ribadito Toninelli in una recente occasione pubblica, non chiudendo però la porta a un eventuale co-finanziamento del Cipe, perché l’Emilia-Romagna dovrebbe trovare circa 1,3 miliardi di euro. Sia la Cispadana sia la Mantova-Cremona, ovviamente, sono progetti ancora sulla carta. Per il momento, il Dicastero sembra irremovibile sull’Autostrada Roma-Latina, da sempre osteggiata dagli ambientalisti romani ma che il governatore Nicola Zingaretti – al contrario di quanto lasciato intendere in campagna elettorale – vorrebbe realizzare: gli incontri fra il segretario Dem e il ministro fin qui non sono andati a buon fine.
LE OPERE LOCALI E LE RIFLESSIONI DEL MIT – Sono proprio le opere locali a impegnare i tecnici del Mit, fra blocchi, richieste di finanziamento, extra-costi e situazioni incancrenite da anni. Quando il senatore del Pd, Andrea Marcucci, a marzo ha consegnato a Toninelli un plico con ben 600 opere che a suo giudizio il ministro starebbe bloccando, l’esponente di governo si è sfogato rigettando le accuse: “L’unico cantiere sospeso e non bloccato è quello del Tav – diceva quando ancora non c’era stato lo stop alla Gronda e il via libera alla Torino-Lione – Di quei 600, che poi magari saranno 300 perché la gran parte sono segnalazioni, la stragrande maggioranza sono regionali. Stiamo concludendo lavori specifici di analisi sugli stati d’avanzamento dei singoli cantieri. Questa narrazione che io blocco i cantieri è falsa“.
Ne sa qualcosa la città di Roma, dove Virginia Raggi ha ottenuto la conferma del finanziamento di 425 milioni di euro – già stanziati dal governo Gentiloni – in gran parte da spendere per la rimessa a nuovo delle linee A e B della metropolitana. Poi c’è la linea C, che a inizio mandato Virginia Raggi sembrava voler limitare a San Giovanni e che invece adesso arriverà almeno a Piazza Venezia “e poi fino a Clodio”, ricalcando il progetto originario nonostante i circa 700 milioni di extra-costi fin qui contabilizzati: pochi giorni fa il Ministero Infrastrutture ha confermato il finanziamento, e manca l’ultimo via libera del Campidoglio.
Sempre a Roma, nel gennaio 2019 – quindi a caso giudiziario già esploso – Toninelli si era detto disponibile per conto dell’Esecutivo a finanziare il Ponte di Traiano (circa 100 milioni) a servizio dello stadio dell’As Roma, il cui progetto è stato rivisto e corretto proprio dal Campidoglio pentastellato. Fuori dalla Capitale, c’è la linea 6 della metropolitana di Napoli, che è quasi finita. Fondi sbloccati dal Mit anche per il progetto di fattibilità della linea 2 della metro di Torino e il completamento della linea 1, sempre nel capoluogo piemontese. Di pochi giorni fa, infine, l’annuncio dello sblocco dei fondi per l’autostrada Agrigento-Caltanissetta.