Una Turandot oltre Puccini, tutta cinese: è il nuovo progetto di Riccardo Cocciante, che dopo produzioni di successo come Giulietta e Romeo e Notre Dame De Paris torna a teatro con un classico della lirica, la storia di una principessa cinese resa celebre dall’opera del compositore Giacomo Puccini. Ma completamente riscritta: “Sarà una rilettura alla mia maniera della fiaba, che continua il mio discorso musicale. E non avrà niente a che fare con quella di Puccini”.
L’opera incompiuta di Puccini (fu terminata da un suo allievo, Franco Alfano) racconta la vicenda di una bellissima principessa cinese dal cuore di ghiaccio, Turandot, che manda a morte tutti i pretendenti che non riescono a risolvere tre indovinelli. Nel finale ci ripensa e si lascia persuadere dalle lusinghe d’amore: ma il finale, appunto, non lo scrisse il maestro lucchese. “Non c’entra niente Puccini, la rifaccio completamente“, ha dichiarato Cocciante. Perciò bisognerà scavare più indietro, all’origine della storia, nata da una novella persiana, che ha viaggiato da Oriente a Occidente. Carlo Gozzi nel Settecento ne trasse una fiaba teatrale, riadattata poi dal poeta romantico Friedrich Schiller, che ha costituito la base del soggetto dell’opera di Puccini.
L’ispirazione per la musica invece arrivò direttamente dalla Cina, sotto forma di un carillon: scrive il musicologo Julian Budden che Puccini, mentre si trovava alle terme di Bagni di Lucca, incontrò il barone Fassini, amico e console in Cina, che aveva un carillon che riproduceva melodie di quella terra lontana. Puccini, grande amante dell’esotico, li utilizzò nella partitura dell’opera, che non riuscì a terminare: morì nel 1924 e fu completata da Alfano. Alla prima dell’opera, nel 1926, il direttore d’orchestra Arturo Toscanini si interruppe a metà del terzo atto: “Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il maestro è morto”. Con buona pace di Alfano, che aspettò la sera successiva per vedere l’opera completa, con il finale che aveva scritto.