Le monete virtuali diventano sempre più uno strumento nelle mani delle mafie, che le utilizzano soprattutto per riciclare denaro. A lanciare l’allarme è la Direzione Nazionale Antimafia nella sua ultima relazione. Il report, che fa riferimento alla relazione 2018, è citato oggi dal Sole 24 Ore. Secondo la Dna, criptovalute sono utilizzate molto spesso da “organizzazioni delinquenziali anche di matrice mafiosa, per ripulire somme consistenti di proventi illeciti anche mediante lo spacchettamento delle somme da riciclare e l’utilizzo di più soggetti riciclatori, ovvero il ricorso a più monete virtuali”.
Secondo il documento, “il bitcoin risulta la prima moneta per i pagamenti realizzati sul darknet ovvero per il commercio illegale” e tra le difficoltà per gli investigatori c’è una “complicata identificabilità degli indagati; la complessa acquisizione di prove circa le movimentazioni di valuta virtuale e la riconducibilità a soggetti specifici“.
Una sorta di “paradiso finanziario virtuale” quello delle criptovalute come scrive nella relazione il sostituto procuratore Francesco Polinoperché “il sistema delle criptovalute ha natura decentralizzata, ogni computer ha eguale accesso alle risorse comuni” e “le transazioni possono avvenire non soltanto tra soggetti residenti in Stati diversi, ma anche essere riconducibili a più account in realtà riferibili sempre alla medesima persona”.
Senza contare le “difficoltà” che si presentano agli investigatori per acquisire prove “circa le movimentazioni e la riconducibilità a soggetti specifici; la concreta sequestrabilità delle virtual currencies e delle disponibilità presenti sui wallet”. Una difficoltà che si ripropone anche nell’individuazione del profitto illecito: “Emerge nitidamente l’innegabile potenzialità dissimulatoria della criptovaluta in grado di ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa del profitto illecito”.