La carriera criminale di Diabolik, leader degli Irriducibili ucciso vicino al Parco degli Acquedotti mercoledì pomeriggio, prende il via oltre 20 anni fa: era ritenuto il capo della batteria di Ponte Milvio, in rapporti con Michele Senese e Massimo Carminati. Nel mezzo, anche la vicenda del tentativo di scalata del club biancoceleste, gli striscioni in "onore della Tigre Arkan" e i volantini del suo gruppo ultras di stampo antisemita
Si era preso la Curva Nord, suo regno incontrastato da anni, e aveva anche tentato di prendersi la Lazio. Nel mezzo, l’arresto per traffico di droga, diversi precedenti, la presunta guida della batteria di Ponte Milvio che avrebbero avuto rapporti con Michele Senese e Massimo Carminati, e il sequestro di 2 milioni di euro della Guardia di Finanza. E poi gli ambienti di estrema destra che frequentava, oltre a diverse iniziative ispirate all’antisemitismo. La carriera criminale di Fabrizio Piscitelli, conosciuto con il soprannome di Diabolik, leader degli Irriducibili Lazio ucciso vicino al Parco degli Acquedotti mercoledì pomeriggio, prende il via oltre 20 anni fa. Ben prima della sua affermazione, nei primi anni Duemila, come capo ultras biancoceleste.
Nel 2013 venne arrestato dopo un mese di ricerche in un appartamento alla periferia di Roma, dove si nascondeva dai finanzieri. L’accusa nei suoi confronti era quella di essere a capo di un gruppo criminale che gestiva un traffico di droga internazionale tra l’Italia e la Spagna. Nel covo venne trovato anche un arsenale che avrebbe potuto essere utilizzato per gli scontri allo stadio. Due anni dopo, nel 2015, fu condannato in primo grado, insieme ad altri tre capi ultrà della Curva Nord, a 3 anni e 6 mesi per il tentativo di scalata alla Lazio. Un’inchiesta che coinvolse anche l’ex leggenda biancoceleste, Giorgio Chinaglia. Un anno dopo le Fiamme Gialle gli sequestrarono beni per 2 milioni di euro, compresa una villa a Grottaferrata. Un immobile che poi fu soggetto a revoca della confisca da parte della Cassazione.
Il nome di Diabolik è legato a tante altre azioni messe a segno dagli Irriducibili, gruppo ultrà vicino agli ambienti di estrema destra e autore di una lunga contestazione nei confronti dell’attuale presidente della Lazio, Claudio Lotito. Nel febbraio 2015, era stato condannato in primo grado per “tentata e reiterata estorsione aggravata” proprio nei confronti del patron biancoceleste. Il 30 gennaio del 2000, in occasione di Lazio-Bari nell’annata dello scudetto vinto da Sven Goran Eriksson, fecero il giro del mondo le immagini dello striscione esposto in Curva nord in “onore alla tigre Arkan”: il riferimento era a Zeljko Raznatovic, criminale di guerra serbo accusato di genocidio e crimini contro l’umanità, morto in quei giorni.
Nel 2017 proprio gli Irriducibili finirono nella cronaca per aver affisso adesivi di chiaro stampo antisemita che ritraevano Anna Frank con la maglia giallorossa nella Curva Sud dei cugini romanisti. E, appena un anno fa, fece scalpore un volantino, a firma del sedicente “direttivo Diabolik Pluto” (due capi ultrà), che vietava alle di stare nelle prime dieci file della Curva Nord, considerato un “luogo sacro” della tifoseria biancoceleste. “Chi sceglie lo stadio come alternativa alla spensierata e romantica giornata a Villa Borghese – era l’accusa – andasse in altri settori”.