Dalle 9 Palazzo Madama voterà le mozioni sull'Alta Velocità. Il primo testo in votazione è del M5s, contrario alla grande opera. La Lega può contare su Pd, Fi e Fdi per respingerla, ma tra le opposizioni cresce la tentazione di uscire dall'Aula per far emergere le contraddizioni della maggioranza. "L'opera si fa, è già deciso, non è un giudizio sul governo" dicono da Palazzo Chigi. Ma il punto è tutto politico
Non la giustizia, non l’immigrazione e nemmeno i temi economici: l’ostacolo più alto sulla strada del governo Conte è sempre stato il Tav. Mesi fa il presidente del Consiglio aveva congelato il dossier proprio perché era la miccia più pericolosa. E ora che il capo del governo ha sciolto il nodo (a favore della realizzazione dell’opera), le contraddizioni nella maggioranza tornano in bella vista, aggiungendosi all’alta tensione che soprattutto la Lega e il suo segretario non accennano a far diminuire. Il duello finale sull’Alta velocità è in programma al Senato, la Camera in cui i partiti che sostengono l’esecutivo hanno più problemi di numeri anche se hanno dimostrato a sorpresa di avere una tenuta ferrea, perfino sul decreto Sicurezza bis che hanno provocato più di un malumore nel gruppo dei Cinquestelle. Dalle 9 a Palazzo Madama si voteranno le sei mozioni sul Tav. E lo scontro frontale che finora è stato solo verbale diventerà quasi plateale con la presenza in Aula da una parte di Matteo Salvini che d’altra parte è anche senatore e quindi ha diritto di voto e dall’altra non solo il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli – fiero oppositore della grande opera – ma anche l’altro vicepremier, il capo politico del M5s Luigi Di Maio. “Per noi – spiegano fonti del Movimento parlando con l’Ansa – è una battaglia importante ed è ovvio che Di Maio ci sarà. Sarà bello vedere votare la Lega insieme al sistema, come ha già fatto su Radio Radicale“.
Dopo un anno in cui il Parlamento è stato quasi il facilitatore dei rapporti, il lubrificante, l’esecutore del contratto di governo, nel quale i voti che dovevano esserci non sono mai mancati e alle opposizioni sono rimaste sempre solo briciole, questa volta il voto assume un significato politico che va molto oltre la bocciatura o il via libera a una mozione che d’altra parte è solo un atto d’indirizzo, come da definizione nel gergo parlamentare. Perché la prima mozione ad essere votata sarà proprio quella del M5s e in caso di approvazione precluderebbe tutte le cinque rimanenti: Pd, PiùEuropa, Fratelli d’Italia, Liberi e Uguali e Forza Italia. Ed è lì che si concentrerà tutta la tensione della giornata perché se le opposizioni uscissero e lasciassero i due gruppi di maggioranza a votare l’uno la mozione dell’altro accadrebbe che il M5s supererebbe di gran lunga i voti della Lega e quindi ne verrebbe un no alla Tav e un sì al blocco dell’opera. Cioè il contrario di ciò che ha espresso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Da Palazzo Chigi in tarda serata hanno assicurato: “Il voto sul Tav non è un giudizio sul governo o su Conte“. Ma la temperatura della fiducia all’interno della maggioranza sì e non ci vuole molta fantasia per capire che la crisi di governo sarebbe a mezzo passo di distanza, tra l’altro all’ultimo giorno prima della pausa estiva del Parlamento e nelle settimane in cui si sta preparando la manovra di bilancio con mille idee, dal taglio del cuneo fiscale annunciato dal capo del governo alla cancellazione della Tasi promessa da Salvini.
Da Palazzo Chigi si prova a rimettere la discussione sul binario del merito, nel senso che qualsiasi sia l’esito del voto di oggi al Senato, non cambierà niente nella prosecuzione dei lavori per il completamento della Torino-Lione. “Si ricorda – dicono fonti vicine a Conte – che il tentativo di revisione del progetto Tav si è rivelato infruttuoso per la determinazione della Francia di proseguire nella realizzazione dell’opera e per la disponibilità della Commissione europea a integrare il finanziamento già stanziato”. Certo, il Parlamento – come già aveva detto Conte – “potrà valutare diversamente, assumendosi la responsabilità di intraprendere un percorso finalizzato a impedire, in maniera unilaterale, la realizzazione dell’opera”. Ma il voto di oggi va un po’ oltre il sì o il no al Tav. Riguarda molto lo stato di salute di una maggioranza che litiga, a partire dai suoi vertici, tutti i giorni, nessuno escluso.
Tutto si tradurrà, dunque, in una battaglia parlamentare che assomiglierà quasi al poker, tra bluff e carte nascoste. Una partita cominciata già ieri. Pd e Forza Italia per tutto il giorno hanno assicurato che voteranno a favore del Tav, così come la Lega e Fratelli d’Italia. Sono questi i gruppi più numerosi che formano la maggioranza “pro Tav”. E a questi partiti che ieri l’eurodeputato democratico Carlo Calenda ha fatto appello per lasciare che Lega e M5s se la vedano tra loro. Così il governo cadrà, dice l’ex ministro che però a differenza dei colleghi del Senato non ha problemi di poltrona da mantenere. Ma il capogruppo del Pd Andrea Marcucci, d’accordo con il segretario Nicola Zingaretti, ha ribadito fino al tardo pomeriggio la posizione: “Il Pd avrà una posizione coerente con quanto ha fatto in questi anni. Voteremo per la Tav e contro chi vuole continuare a bloccare le grandi opere pubbliche”. Ma poi l’idea si rimescola alle tentazioni. Già verso l’ora di cena si è cominciato a parlare di lasciare aperta la strada a cambi in corsa di strategia, a seconda di come andranno le cose in Aula. A Marcucci il compito di modulare la strategia a seconda di quello che faranno gli altri gruppi: per dire, se tutti gli altri uscissero dall’emiciclo per far mancare il numero legale, potrebbero farlo anche i dem. La scelta della linea da tenere, peraltro, ha provocato gli immancabili problemi interni al Pd e – manco a dirlo – tra renziani e non. I “non”, come l’ex capogruppo Luigi Zanda e l’ex tesoriere Antonio Misiani, hanno criticato la gestione del gruppo nelle ultime settimane. Detto più esplicito: sono i renziani a non avere nessuna voglia di andare alle urne adesso, con il rischio di essere tagliati fuori dalle liste elettorali.
E la febbre della tentazione di fare uno sgambetto doloroso alla maggioranza a serata inoltrata si è diffusa anche agli altri gruppi di opposizioni, destra compresa. Già lunedì la presidente dei Fratelli d’Italia Giorgia Meloni aveva fatto un mini-sondaggio a Palazzo sull’atteggiamento di Pd e Fi. E, l’epilogo del sondaggio è stato sostanzialmente uno: democratici e azzurri voteranno le proprie mozioni (per il sì al Tav) e rispetto alla mozione del Movimento non usciranno dall’Aula ma voteranno contro. In queste ultime ore, tuttavia, il pressing per una tattica d’Aula che metta in difficoltà i partiti di maggioranza è tornato a farsi sentire. Al momento le posizioni sembrano immutate: tutti in Aula, a votare contro la mozione M5s. Ma non si escludono sorprese in extremis.