L’ultimo scontro si genera all’alba della rottura e si alimenta della stessa crisi di governo, con botta e risposta, accuse e controaccuse tra M5s e Lega. Il litigio finale è sul taglio dei parlamentari, calendarizzato a settembre. Doveva essere il prossimo provvedimento bandiera dei Cinque Stelle ma l’addio all’esperienza di governo deciso da Matteo Salvini non permetterà di tornare in Parlamento per approvare la norma che permetterebbe una cura dimagrante a Camera e Senato, che nella prossima legislatura conterebbero 345 poltrone in meno.
Preso atto della decisione dell’ormai ex alleato di governo, Luigi Di Maio dice di non avere “nessun problema ad andare al voto”. Anzi, rimarca, “dopo quel che è successo ci corriamo alle urne”. Però, sostiene, prima si torni in aula per tagliare il numero di parlamentari: “La prossima volta che devo andare a votare, voglio andare a votare un Parlamento con 345 poltrone in meno. Con 345 maxi-stipendi in meno, con 345 politicanti in meno che ingolfano il Paese”.
Un “esercito di privilegiati”, li definisce. Quindi l’invito a Salvini: “Tagliamo 345 poltrone e risparmiamo mezzo miliardo di euro. Sono 300mila euro al giorno in meno. E mettiamo tutto su strade, ospedali, sulla ristrutturazione di immobili abbandonati per dare case a chi ne ha bisogno. Salvini, non è così difficile! Vinci la paura, supera le pressioni di Berlusconi e dei tuoi alleati. Fai un atto di coraggio, se il coraggio di cambiare ce l’hai veramente. E poi decideranno gli italiani con il loro voto”.
Le sue parole sembrano destinate a cadere nel vuoto. Il leader della Lega ha fretta, non vuole aspettare ancora. Giudica l’esperienza di governo ormai finita, Giuseppe Conte è un premier da sfiduciare e le urne sono un obiettivo da raggiungere il prima possibile. Non c’è tempo per il taglio dei parlamentari che, scrive il Carroccio sul proprio profilo Facebook, “è il contrario di quello che sembra”. Tradotto: “Una scusa per salvare le poltrone dei Cinque Stelle (che non verrebbero rieletti in gran numero)”.
Se passasse, scrive la Lega, “non si potrebbe andare al voto per quasi un anno”, ricordando i tempi tecnici che”includono attivazione di eventuale referendum per bloccare il taglio, ridefinizione dei collegi elettorali e altre lungaggini burocratiche”. Nel frattempo, è il ragionamento dei leghisti, “si bloccherebbe il Paese con tanti altri no e saremmo costretti a subire una manovra punitiva lacrime e sangue come piacerebbe all’Europa dei burocrati che odiano gli italiani”. Il taglio? Arriverà dopo le elezioni, promette il partito: “Sarà in cima alle priorità della nuova compatta maggioranza del prossimo governo Salvini”.
I Cinque Stelle però provano la manovra a sorpresa: in queste ore, a quanto si apprende, starebbero valutando la possibilità di chiedere la convocazione straordinaria della Camera, prima che venga votata la mozione di sfiducia al governo, per approvare in via definitiva la riforma. Il Movimento potrebbe farlo a norma dell’articolo 62 della Costituzione, che stabilisce che ciascuna Camera possa essere “convocata in via straordinaria per iniziativa di un terzo dei suoi componenti”. Il gruppo pentastellato è composto da 216 deputati. Per riuscirci ne bastano 210.