“Forse tutta l’Italia sta diventando Sicilia… a me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali di scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno… io invece dico: la linea del caffè ristretto, la linea del caffè concentrato… e sale come l’ago di mercurio su un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali, su per l’Italia, ed è già oltre Roma”. Leonardo Sciascia, nel suo celebre e intuitivo romanzo Il giorno della civetta pubblicato nel 1961, aveva rappresentato con l’esempio della “linea della palma” la mafia siciliana che progressivamente da Sud risale la Penisola verso il Nord, lì dove c’è potere, soldi, affari da portare avanti.

Ancor più della mafia siciliana, la ‘ndrangheta ha proseguito questa incredibile evoluzione, forte della mancanza di conoscenza del fenomeno, del radicamento su un territorio omertoso, del legame di sangue fra gli affiliati e della disponibilità economica, allargandosi in tutto il resto d’Europa non solo, approfittando del fatto che gli altri Paesi erano – e ancora in parte lo sono ancora – impreparati dal punto di vista della conoscenza del fenomeno e, quindi, a livello normativo.

È di ieri la notizia che il boss della ‘ndrangheta Domenico Paviglianiti, 58 anni, è uscito dal carcere di Novara per un guazzabuglio giudiziario. Nel 1999, il boss era stato estradato dalla Spagna (dove era stato catturato tre anni prima) all’Italia. Dalla Spagna avevano dato il via libera alla sua estradizione a condizione che l’uomo, una volta trasferito, non fosse sottoposto a “carcerazione a vita”, poiché all’epoca l’ordinamento spagnolo non prevedeva l’ergastolo, introdotto nel 2015.

L’Italia non ha rispettato in pieno i patti, e quindi dopo i ricorsi presentati dagli avvocati, l’uomo è stato rimesso in libertà. La sua libertà, tuttavia, è durata soltanto 48 ore, in quanto la Procura della Repubblica di Bologna, ritenuto che una delle condanne passate in giudicato comprese nel cumulo si riferiva in realtà a fatti commessi dopo l’estradizione concessa dallo Stato spagnolo, ha rideterminato un nuovo cumulo di pene, emettendo un nuovo ordine di carcerazione, con grande sorpresa dell’arrestato che ormai si era convinto di essere “un uomo libero”.

Paviglianiti era stato coinvolto nelle operazioni “Olimpia”, “Valanidi”, “Barracuda”, tre inchieste che hanno ricostruito le varie fasi della guerra di mafia nel reggino, tra la cosca De Stefano (di cui avrebbe fatto parte il boss) e i Condello e che ha provocato quasi mille morti ammazzati a Reggio tra il 1985 e il 1991. Anni in cui il boss, con alle spalle omicidi e tentati omicidi, girava con un’auto blindata per paura di cadere sotto il fuoco nemico.

Eppure, nonostante il peso all’interno dell’organizzazione criminale e la sua pericolosità, Paviglianiti ha rischiato di tornare ad essere un uomo libero, per via di una vicenda normativa imbarazzante. La Spagna dovrebbe aver considerato la presenza del fenomeno mafioso all’interno del Paese, soprattutto la presenza della ‘ndrangheta. Nel giugno 2017, per citare un caso, ha assistito all’esecuzione del boss Giuseppe Nirta, originario di San Luca, esponente di spicco della ‘ndrangheta reggina.

Qualche giorno fa, il procuratore antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, presente al festival letterario “Una torre di libri” di Torre Pellice (in Piemonte) parlando della presenza della mafia in Svizzera ha ricordato che l’Europa non sta ancora facendo abbastanza per contrastare il fenomeno mafioso. “Negli ordinamenti – ha detto – non c’è il reato di stampo mafioso. Per le mafie è quindi conveniente delinquere nel centro e nel nord Europa. Le pene sono molto basse e il rischio di essere indagati esiste solo se le polizie italiane fanno delle indagini”.

È tempo di accendere i riflettori anche sulla Spagna, terreno fertile per la ‘ndrangheta che senza farsi troppo notare (almeno in passato) avrebbe rapporti stabili con le organizzazioni criminali locali e non solo. Padrona del traffico di armi e della droga, intermediaria dei cartelli colombiani o messicani, per assenza di una adeguata normativa rischia di diventare ancor più potente.

Non aspettiamo un’altra strage di Duisburg per capire la portata del fenomeno. È ormai chiaro che l’Europa deve essere unita anche in tema di contrasto alla mafia.

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