A Roma “la pax è finita“. Almeno “fino al prossimo accordo“. Hanno pochi dubbi gli investigatori. L’omicidio di Fabrizio Piscitelli, conosciuto ai più come il “Diabolik” capo ultrà della Curva nord della Lazio, lascia pensare che qualcosa si sia rotto nel “tavolo permanente delle mafie romane”. di cui parlava appena due mesi fa il capo della Dda Michele Prestipino. Una “pax capitolina” stipulata per la prima volta a cavallo fra il 2011 e il 2012, dopo l’omicidio a Ostia di Giovanni Galleoni detto “Baficchio” e Francesco Antonini detto “Sorcanera”: in quella sede trovarono l’accordo clan camorristici, i siciliani, i romani “reduci” dall’epopea della Magliana – guidati dall’ex Nar Massimo Carminati – e gli “zingari” in ascesa. Con la garanzia di alcuni esponenti di spicco, come il siciliano Francesco D’Agati, referente del clan Santapaola, o il boss di Montespaccato, Salvatore Nicitra.
Un patto di “non belligeranza” – costantemente violato negli anni a venire, c’è da dire – arrivato proprio nei giorni in cui veniva ipotizzata la nomina di Giuseppe Pignatone, fino a quel momento magistrato soprattutto esperto nella lotta alle cosche, come procuratore capo di Roma. Allora, il senso della “federazione criminale” era quello di favorire lo scorrere indisturbato degli affari criminali nella Capitale. Lo stesso metodo seguito nel 1993 da Bernardo Provenzano, che inabissò Cosa nostra subito dopo le stragi e l’arresto di Totò Riina. Una pace imposta dai boss anche nella Capitale nel nome del business.
Solo che oggi Carminati e gli altri tre “re di Roma“, elencati per la prima volta dal giornalista Lirio Abbate sull’Espresso nel dicembre 2012, sono tutti in galera. Anche Pignatone non è più operativo: dal maggio scorso è in pensione. Da allora la poltrona più alta di piazzale Clodio è vuota, ed è finita al centro delle trame e degli intrighi svelati dall’inchiesta sul Consiglio superiore della magistratura. Nel frattempo la pace è finita e può anche essere scoppiata la guerra. “Si attende l’intervento dei garanti per riportare l’ordine: questo potrebbe portare a un’escalation di sangue o, più probabilmente, all’ennesimo accordo“, ipotizzano fonti inquirenti qualificate a IlFattoQuotidiano.it.
Piscitelli, “l’omicidio più importante dal 2002” – Va considerata la “gravità” dell’uccisione di Piscitelli, una figura di primo piano della criminalità organizzata capitolina. Un luogotenente in piena regola, capo della cosiddetta batteria di Ponte Milvio al servizio dell’ex dominus di Roma nord, Massimo Carminati – con cui condivideva gli ideali politici e l’assidua frequentazione degli ambienti sovversivi di estrema destra – ma anche al servizio di Michele Senese, lo storico viceré romano dei clan di Afragola, con cui collaborava sul fronte del narcotraffico nel quadrante est della città. “Era l’uomo di connessione fra l’estrema destra, criminalità romana, gruppi albanesi e camorra”, confermano gli inquirenti.
Soprattutto, Diabolik era il leader indiscusso del tifo laziale, co-fondatore del primo gruppo ultras italiano a unire la “passione sopra le righe” alla politica e ai business illeciti, da tempo terreno fertile per le attività mafiose. Vicino, negli ultimi tempi, a Forza Nuova e all’amico Giuliano Castellino – leader forzanovista e capo ultrà della Roma – da cui ha sempre ottenuto solidarietà a dispetto delle rivalità calcistiche. Se fosse confermata l’aggravantemafiosa ipotizzata nel fascicolo aperto dalla Procura di Roma, quello di Piscitelli sarebbe “l’omicidio più importante avvenuto a Roma dai tempi di Paolo Frau”, boss di Ostia ed ex braccio destro di Renatino De Pedis, ucciso nel 2002: un delitto che cambiò per sempre gli equilibri criminali sul litorale e non solo.
Il territorio dei Senese e le modalità dell’assassinio – Piscitelli è stato ucciso con le tipiche modalità dell’esecuzione. Un colpo alla nuca, dietro l’orecchio. Uno sparo solo, ma perché la pistola del killer (“un professionista”) forse si è inceppata. “Altrimenti sarebbero stati tre, forse quattro”, spiega chi indaga. Soprattutto, il proiettile calibro 7,65 Parabellum, considerato una firma degli ambienti mafiosi. Poi bisogna considerare la zona. Diabolik abitava a Grottaferrata, non troppo distante dal luogo dell’omicidio, l’ingresso del Parco degli Acquedotti in via Lemonia, in zona Tuscolana. Quello, però, è anche il territorio di Michele Senese, di cui è oggi reggente il fratello Angelo, che abita nel quartiere Porta Furba, ad appena 2 km di distanza dal luogo del delitto. “Un affronto, se non fosse stato avallato in qualche modo”, azzardano gli inquirenti.
Fatto sta che Piscitelli, in quel momento, non si sentiva in pericolo. Il capo ultrà biancoceleste era solito girare con tre-quattro di scorta, dei guardaspalle che mercoledì pomeriggio a via Lemonia non c’erano. L’unico presente pare fosse l’autista cubano, che poliziotti e magistrati stanno hanno già interrogato. Eppure, chi lo frequentava ammette che da qualche tempo erano arrivati segnali che lo avevano reso inquieto. In cima agli avvertimenti, è oggi la bomba che il 7 maggio distrusse la nuova sede degli Irriducibili all’Appio Latino. “Ci vogliono far tornare agli anni di piombo”, disse Diabolik in quell’occasione, alludendo a un presunto movente politico legato allo striscione in onore a Mussolini esposto nei giorni precedenti a Milano prima di Milan-Lazio. Fonti interne al gruppo ultras degli Irriducibili rivelano che nei mesi passati aveva provveduto a distribuire il suo patrimonio per due terzi alla figlia Giorgia – che si è sposata nel giugno scorso – e per un terzo all’altra figlia.
I “re” arrestati e gli “spazi” per i nuovi clan – Quali sono oggi gli equilibri criminali in città? Come detto i “quattro re di Roma” oggi sono tutti in galera. Carminati è in carcere dalla fine del 2014 con il 41 bis dopo la condanna in appello a 14 anni di carcere per “mafia capitale”. Stesso discorso per Michele Senese, detto “O’ pazzo”, dietro le sbarre dal 2013 per l’omicidio del boss della Marranella, Giuseppe Carlino, avvenuto a Torvaianica il 10 settembre del 2001 per mano dell’amico Domenico Pagnozzi, per vendetta dell’assassinio del fratello Gennaro, avvenuto nel 1997 a Centocelle. Al 41 bis, dal 2018, anche Giuseppe Casamonica, capo degli zingari, e Carmine Fasciani, boss dei rispettivi clan. Ma non erano solo loro i protagonisti del patto federativo del 2011-2012. Al tavolo c’erano anche i fratelli Franco e Roberto Gambacurta, i re di Montespaccato, arrestati nel 2018 dalla Dda, insieme al reduce della banda della Magliana, Salvatore Nicitra (assolto ai tempi del maxi-processo), romano di origine siciliana.
Da tempo sotto processo – ma in realtà libero – anche Enrico Nicoletti considerato il “cassiere” della banda e fra coloro che ha dato il via alla scalata degli “zingari” Casamonica, Spada e Di Silvio. Solo nel giugno 2019, invece, è finito in manette l’83enne Francesco D’Agati, alias ‘u zio Ciccio, storico braccio destro di Pippo Calò, considerato il reggente del clan Santapaola a Roma. Secondo i magistrati antimafia, fu proprio D’Agati il principale garante della pax mafiosa del 2012, colui che mise intorno al tavolo le varie anime della criminalità organizzata capitolina. E come dimostra l’indagine che 2 mesi fa portò la Procura di Roma a sgominare il clan pontino dei Fragalà, proprio ‘u zio Ciccio, vicino di casa di Senese, amava svolgere il suo ruolo di mediatore davanti a “prelibati cannoli siciliani” nei pressi di una nota pasticceria di via Tuscolana.
Il 2019 romano fra sangue e manette – Dall’inizio del 2019, quello di Fabrizio Piscitielli è il terzo delitto che “puzza di mafia“, per dirla con gli investigatori. Il 10 gennaio 2019, un killer in moto, con casco integrale, ha freddato il pluri-pregiudicato Andrea Gioacchini davanti a un asilo nido alla Magliana. Fra gli indagati c’è ancora Augusto Giuseppucci, fratello di Franco detto “Er Negro” (“Er Libanese”, per gli amanti di Romanzo Criminale), il primo boss della Banda della Magliana ucciso nel 1980 in piazza San Cosimato. Il 31 marzo 2019, un’altro motociclista ha gambizzato i pregiudicati Mauro Gizzi e Maurizio Salvucci, davanti un bar in via Stilicone al Quadraro – ancora nel territorio dei Senese – Mauro Gizzi, in particolare, è il cugino di Franco Gizzi, boss dell’omonimo gruppo con base ai Castelli Romani ma dalla grande influenza sia nel quadrante sud-est della Capitale che in tutto il sud pontino.
Oltre all’operazione del 5 giugno 2019, che ha portato la Dda ad arrestare una trentina di esponenti del clan Fragalà di Pomezia, nell’ultimo anno vanno registrate alcune operazioni che potrebbero aver sconvolto gli equilibri criminali cittadini. In particolare, i numerosi arresti in seno al clan Casamonica-Spada: 37 arresti il 17 luglio 2018, fra cui il boss reggente Massimiliano Casamonica, e altre 23 persone in manette il 9 maggio 2019. Il 10 luglio 2019, invece, è arrivato il duro colpo al clan Gambacurta di Montespaccato, cui erano affiliati anche alcuni ultras della Lazio. Secondo gli inquirenti, “potremmo assistere ad altri episodi di sangue, ma è probabile che i garanti del patto continuino a lavorare per la pace, perché gli interessi sulle oltre 100 piazze di spaccio presenti sul territorio cittadino sono enormi”. Gli stessi clan calabresi “sono i principali fornitori della droga consumata a Roma e non dovrebbero avere alcun interesse a scatenare una guerra per l’egemonia”, un predominio che “a Roma non è mai esistito“. Intanto nell’Urbe si è tornato a sparare. E a uccidere.