L’Italia dovrebbe “cantare in coro, non avere dei solisti. Ce ne sono anche troppi. E come vediamo in queste ore, non leggono nemmeno lo stesso spartito. A questo punto, mi viene in mente la Prova d’orchestra di Fellini. Crisi o non crisi, andando avanti così non si va da nessuna parte”. Lo dice su un’intervista a Il Messaggero Romano Prodi, che oggi compie 80 anni e interviene sulla crisi di governo in corso. E, più in generale sulla sfera pubblica: “Sono preoccupato perché alla speranza collettiva si è sostituito un messaggio per illudere l’oggi e non per preparare il domani”, dice.
Prodi, la cui lunga carriera politica è iniziata nel 1963 come consigliere comunale a Reggio Emilia nelle fila della Democrazia Cristiana, è stato due volte premier, l’unico a battere il centrodestra di Silvio Berlusconi, e poi presidente della Commissione Europea e dell’Iri e ministro dell’Industria. Ma, soprattutto, è considerato il “padre” del centrosinistra in Italia. Oggi “credo che, per rendere concreta una speranza collettiva, occorrerebbe un leader morale non necessariamente politico. Servirebbe qualche grande pensatore, qualche grande scienziato, una figura nella quale riconoscersi”, perché “la società si è radicalizzata troppo”.
L’ex premier, che nel corso del suo esecutivo si è trovato ad affrontare due crisi di governo, la seconda delle quali, nel 2008, ha portato alla fine della legislatura, dice: “Quando vado in giro, tantissima gente mi abbraccia e dice di rimpiangere il passato. Ma tanti mi insultano. Né l’una né l’altra cosa accadevano negli anni scorsi. Perciò dico che ci vuole qualche figura che unifichi, che impersonifichi l’intera società”. E ricorda che l’idea di Ulivo e l’idea di Europa “sono state eredi e espressioni del mio ottimismo personale e generazionale. Nonostante tutte le difficoltà, c’era l’idea che con l’Ulivo si potesse cambiare l’Italia e che con l’Europa possa cambiare il mondo. Quest’ultima speranza mi è rimasta”.
Per Prodi, in questo momento, “dovremmo diventare anche noi protagonisti del cambiamento, non demonizzarlo. Io credo che se riusciamo ad essere uniti in Europa possiamo ancora partecipare alle grandi trasformazioni del mondo. Abbiamo però poco tempo per imparare a guidare anche noi le innovazioni in corso. Gli artefici del cambiamento per ora sono americani e cinesi”. Il “Professore“, come viene chiamato per la sua carriera accademica, conclude: “Abbiamo contribuito a creare la globalizzazione, che è stato un fenomeno positivo, ma non siamo stati capaci di liberarla dall’aumento delle diseguaglianze”. E oggi in Italia “la fuga di molte delle energie migliori è il problema più serio”. La molla di un Paese, conclude, “è la fiducia e noi la stiamo perdendo”.