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In Italia gli archeologi sono costretti a fare i bigliettai

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Immerso così tanto nel mio ambiente di lavoro, fra Matematica e Ingegneria, non avrei il polso della situazione in altri ambiti scientifici, se non per contatti personali. Per questo ho trovato interessante, in una tranquilla domenica sull’Adriatico, chiacchierare con Michela, la ragazza di mio nipote Alvise; si erano conosciuti quando erano studenti di Archeologia. Di Alvise sapevo i diversi contratti temporanei per scavi in Siria e in Turchia, l’anno di contratto a Changchun a insegnare la lingua accadica ai cinesi, le supplenze a scuola come insegnante di sostegno. In spiaggia, insieme ai “suoceri”, c’è Michela ma non c’è lui; sfuggendo in acqua alla calura romagnola, le chiedo notizie.

Michela: “Alvise è in Turchia”

Massimo: “Ah, un’altra campagna di scavi?”

Mic: “Sì, ma ha anche ottenuto un post-doc di un anno all’Università Koç di Istanbul

Max: “Ottimo! Ma in Italia non ci sono prospettive?”

Mic: “Pare che escano presto dei concorsi universitari; a tempo determinato, naturalmente. Ma chissà quanti concorrenti ci saranno”

Max: “E tu, Michela? Scusa, sinceramente non so nemmeno che lavoro fai”

Mic: “Lavoro per un’agenzia che allestisce mostre d’arte”

Max: “Ah. Ma è un’occupazione temporanea? Cosa vorresti fare a regime?”

Mic: “No, il lavoro mi piace molto! Un tempo avrei voluto essere assunta da un museo, ma adesso preferisco questo impiego. A parte che, con un posto a tempo indeterminato, sono comunque molto fortunata. Sapessi quanti nostri compagni di studio sono a piedi. Sì, ci sono gli scavi di emergenza in occasione di costruzioni di opere pubbliche, come metropolitane eccetera, ma gli archeologi sono tutti a partita IVA, pagati pochissimo, chiamati da un giorno all’altro in qualsiasi parte d’Italia, senza neanche rimborso spese”

Max: “Ma dicevi dei musei. Non sarebbe un’occupazione più appropriata?”

Mic: “Sì, ci ho provato ma mancano le risorse e i concorsi sono pochissimi; invece servirebbe molta gente. Tanti musei italiani tengono nei loro scantinati opere di grandissimo valore, persino pezzi unici, che non sono in grado di valorizzare proprio per mancanza di personale, oltre che di spazi e finanze. Eppure, quando vengono esposte nelle mostre, queste stesse opere attirano un grande interesse di pubblico. Questo te lo dico per esperienza personale!”

Max: “Ma tu lì come ci sei arrivata? Che percorso hai fatto?”

Mic: “Anch’io ho cominciato con gli scavi in Oriente, dove ho conosciuto Alvise. Poi ho lavorato presso un orefice. Poi ho trovato questa agenzia. Ma all’inizio lavoravo in biglietteria“

Max: “Ah!”

Mic: “No, guarda, mi è stato utilissimo, come tutto il resto di cui mi sono dovuta occupare nel tempo. Adesso, che mi affidano compiti di responsabilità, so come regolarmi in ogni situazione”

Torniamo a riva. Medito sul fatto che sì, Michela è stata fortunata. Però mi chiedo se in una nazione come l’Italia, col nostro immenso patrimonio sottoterra e nei musei, un archeologo debba contare su un’impresa privata per lavorare; o debba cercare fortuna in altri paesi.

D’altra parte non è che a Matematica vada molto meglio: in un concorso di Geometria della mia università, dei 33 candidati ben 15 sono italiani all’estero.

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