Dal rapporto 'Il ricambio generazionale dell’occupazione' emerge come la sostituibilità tra pensionati e giovani alla prima esperienza lavorativa sia strettamente correlata alla professione e al settore economico: le politiche di pensionamento anticipato fortemente volute dalla Lega e da Salvini non si traducono necessariamente in maggiore occupazione giovanile
Approvata lo scorso marzo insieme al reddito di cittadinanza, quota 100 non sembra aver raggiunto per ora il suo obiettivo. Le politiche di pensionamento anticipato fortemente volute dalla Lega e da Matteo Salvini non si traducono necessariamente in maggiore occupazione giovanile. In un mercato del lavoro rigido e poco flessibile come quello italiano, infatti, il ricambio generazionale avviene solo per lavori poco qualificati, mentre resta più difficile per quelli più qualificati. È la fotografia – come riporta l’Ansa – scattata da un rapporto dei Consulenti del lavoro, che avverte anche come negli ultimi 23 anni si siano persi 3,3 milioni di giovani tra gli occupati. Nel 2019, secondo i Consulenti, solo un giovane ogni tre pensionati entrerà nel mondo del lavoro. L’opportunità di andare in pensione raggiunti i 62 anni, con 38 anni di contributi – con un costo stimato in circa 5 miliardi di euro per il 2019 – resterà aperta per 3 anni.
Dal rapporto ‘Il ricambio generazionale dell’occupazione’ dell’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro, emerge come la sostituibilità tra pensionati e giovani alla prima esperienza lavorativa sia strettamente correlata alla professione e al settore economico: mentre per i lavori poco qualificati il ricambio è quasi assoluto e anche più economico, per professioni più qualificate l’uscita anticipata dei più anziani non favorisce l’ingresso di giovani. In particolare, il maggior ricambio occupazionale si registra nelle attività commerciali e servizi (il saldo tra giovani che entrano e pensionati che escono è positivo per 358mila) e non si presentano difficoltà di ricambio generazionale anche in professioni come quelle di programmatori (+11 mila), disegnatori industriali (+9 mila), esperti in applicazioni informatiche (+7 mila), ma anche in professioni più tradizionali ma in espansione come i tecnici di vendita e distribuzione (+7 mila) e in professioni sanitarie riabilitative (+5 mila) come fisioterapisti, podologi, ortottisti e terapisti della riabilitazione psichiatrica.
Più complicata, invece, la sostituzione per quanto riguarda legislatori, imprenditori e alta dirigenza (-48 mila), professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione (-48 mila), per impiegati (-27 mila), conduttori di impianti, operai di macchinari fissi e mobili e conducenti di veicoli (-45 mila) e per i militari (-3 mila). Una situazione che rischia di aggravare il fenomeno tutto italiano che vede un mercato del lavoro in cui tra il 1995 e il 2018 si sono persi 3,3 milioni di giovani 15-34enni, mentre sono aumentati di 5,7 milioni gli adulti over 35.