di Riccardo Savino
Generazione Z, Net Generation, Generazione 00. Tanti nomi per definire un unico gruppo di persone: i ragazzi e le ragazze nate tra la fine degli anni Novanta e i primi del Duemila. Una generazione spesso definita come una delle più individualiste e narcisiste mai esistite, ma anche intraprendente e ottimista verso il futuro; fortemente legata alle tecnologie, e per questo alla gratificazione istantanea da social network, viene vista dai più come incapace di avere pazienza e di darsi tempo.
E allora come può una generazione definita in questo modo sentirsi unita in un ideale? Come può formarsi la propria identità collettiva e individuale se l’unica certezza è l’incertezza, nella “società liquida”, così definita da Bauman?
La costante che unisce i più giovani sotto un’unica bandiera è quella della battaglia climatica. Come si ripete da tempo, secondo il penultimo rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), rimangono circa 11 anni prima di attivare dei meccanismi climatici irreversibili. Il riscaldamento globale è l’elefante nella stanza di cui si parla ancora troppo poco, ma che rischia di portare via, a colpi di cataclismi e migrazioni di massa, il benessere accumulato negli ultimi decenni.
Chi ha più anni di vita davanti a sé avrà il tempo di subire le conseguenze peggiori e, per questo, la lotta per la salvaguardia del pianeta è anche un manifesto generazionale, una richiesta di aiuto dei giovani agli adulti che si esprime in tantissime piazze del mondo. Questa è la pacifica ma dura lotta che tutti devono compiere e, in nome di essa, unirsi per un bene più grande: il nostro pianeta e la sopravvivenza della specie. La generazione verde supera finalmente il nichilismo passivo descritto dagli adulti, che subito si affannano a criticare sia quando si decide di non fare nulla sia quando ci sia attiva. Con i fatti e con le parole, smuovono le coscienze di chi ancora decide di non guardare in faccia la realtà.
Le catastrofi climatiche sono già in atto e a pagarne le conseguenze non sono soltanto le generazioni future ma anche i più deboli, come le popolazioni dei paesi in via di sviluppo, i lavoratori a basso reddito, o chi ha la sfortuna di vivere in una zona colpita da rischi connessi al riscaldamento globale, come l’innalzamento dei mari e l’inquinamento atmosferico. A volte, la soluzione è quella di migrare e andare altrove, diventando così dei migranti climatici: bisogna combattere anche per loro, per chi non ha voce. Come dice Greta Thunberg: “Possiamo ancora cambiare le cose”. Ed è vero: si può ancora far comprendere che le soluzioni a questa crisi esistono.
Milioni di giovani si mobilitano e si mobiliteranno per il loro futuro e per quello dei più deboli, chiedendo lo stesso agli adulti.