Mentre la sinistra europea si cerca un rinascimento, mentre i popoli del mondo si stanno alzando, chiedendo che finalmente venga preso in considerazione l’interesse collettivo e che le multinazionali smettano di assorbire la ricchezza del pianeta, c’è un paese pionieristico che non si menziona più da molto tempo, e di cui anche la sinistra si è allontanata troppo in fretta, influenzata dal giudizio sempre parziale e violento dei media.

Un paese con “preoccupante radicalizzazione ideologica” come afferma il Presidente francese Emmanuel Macron. Un paese per il quale i giornalisti non si chiedono più se devono definirlo come “dittatura”, in quanto farlo è diventato banale. Un paese preso in una crisi così grave che ora è precipitato nella guerra. Una guerra geopolitica, economica e mediatica che porta alla fame, alla povertà, alla violenza e al rischio di perdere 20 anni di conquiste popolari.

Questo paese è il Venezuela: sono appena tornata, insieme ai miei due compagni d’avventura Manon Coléou e Julian Calfuquir.

Impressioni iniziali

Il primo giorno, la “terribile dittatura” che ci aspettavamo ci è apparsa in questo modo: metro gratuita, wifi (non sempre attivo) nelle piazze (almeno in centro) e libri venduti a 0,5 € grazie a sussidi statali sulle bancarelle di una fiera letteraria all’aperto (cinquemila bolivar, l’equivalente di un pane economico). In metropolitana, nessuna pubblicità, ma molte campagne di sensibilizzazione come questa, mai vista altrove: una campagna per la partecipazione dei padri all’allattamento, in collaborazione con l’Unicef. L’ingresso del museo di storia naturale (gratuito) mostra un senzatetto con una targa “benvenuto al popolo”. Fumo negli occhi, dirano alcuni. Non importa. Gesti assolutamente necessari che siamo lontani dal vedere nelle democrazie liberali dell’Occidente.

Certo, la situazione a Caracas è difficile. Molti i negozi chiusi, checkpoint dell’esercito ai principali incroci, frequenti testimonianze di abitanti che raccontano i momenti difficili in cui non hanno mangiato alla loro fame. Sensazioni di far-west dove i veicoli (4×4-Suv di lusso come piccoli ciclomotori) circolano senza targa, senza rispettare i semafori. Le procedure amministrative più semplici, come l’acquisto di un chip telefonico, possono richiedere ore a causa della precarietà dell’infrastruttura informatica. Le interruzioni di corrente sono frequenti, sospendendo le comunicazioni ma anche la conservazione del cibo.

Checkpoint militare davanti alla televisione statale Telesur (Foto Florence Poznanski)

Molte case non hanno acqua corrente e mantengono galloni d’acqua in secchi. Ma gli hotel di lusso continuano con i soliti livelli di eccesso, come nel resto del mondo. Tuttavia, in questo apparente disordine, l’eredità del chavismo mostra la sua resilienza. Non tanto per la forza dei suoi strumenti di propaganda e tanto meno per l’imposizione di un discorso unico come esiste a Cuba, ma per i risultati concreti dei suoi programmi che oggi non si trovano in nessun’altra parte del pianeta.

Bagno di una casa senza l’acqua corrente (Foto Florence Poznanski)
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