Da decenni non passavo le vacanze in Italia. Ma ad aprile insieme all’altro Inglorious Globastard Alberto Forchielli avevamo previsto che in estate dj Ruspa avrebbe tentato il colpaccio di mano per sottrarsi all’impegno della stangata finanziaria per il 2020 e accaparrarsi il ghiotto bottino elettorale. L’esilarante disintegrazione del governo del cambiamento e della tragicommedia sullo scioglimento delle Camere e’ una forma di intrattenimento trucido da gustare in presa diretta a Roma. Adesso mi dispiacerebbe che una tale circo finisca immantinente in un gorgo di banalità. Francamente la Sacra Unione delle Chiappe in Poltrona tra i Vaffa-boy e il Pd meno elle (di Bibbiano), per quanto grottesca, di fronte alle infinite potenzialità della fantasia politica italica, lascerebbe un amaro retrogusto di delusione.
Invece vorrei che una volta sfiduciato Conte in Parlamento, l’epilogo riservasse un piatto più gustoso di un accordo tra la il Mo-vi-mento e la Kasta. Se io fossi nei panni austeri di Sergio Mattarella per scongiurare uno sbocco minimalista ed insoddisfacente, scatenerei la mia inventiva più perversa. Ad esempio mi divertirei ad assecondare i vaneggiamenti deliranti sui “pieni poteri”. Dopo consultazioni lunghe e tortuose, costellate di indiscrezioni astruse e ingarbugliate ai quirinalisti, affiderei l’incarico di formare il nuovo governo proprio a Salvini. Non un mandato esplorativo, ma un mandato pieno e ineludibile. Anzi, condirei il tutto con un pistolotto a reti unificate intriso di citazioni sull’Ora delle decisioni irrevocabili e l’Impero che torna sui Colli di Roma (tanto per attizzare la libido dei somaristi). Del resto Dj Ruspa è il leader riconosciuto della coalizione di centrodestra che ha vinto le elezioni del 4 marzo 2018 e che si è presentata unita e compatta agli elettori. Quindi è ampiamente investito dal corpo elettorale della responsabilità di governare insieme agli alleati naturali.
In virtù del successo alle europee, sarebbe addirittura ideale se Salvini presentasse alle Camere un monocolore leghista. Sono sicuro che oltre a Meloni e Berlusconi sia il PD che Casaleggio non gli farebbero mancare la fiducia o perlomeno un’amorevole astensione. Per essere ancora più benevolo, se fossi Mattarella questa volta insisterei per assegnare a Savona il dicastero dell’Economia, imporrei Claudio Borghi ministro dello Sviluppo Economico e Alberto Bagnai ministro del Lavoro, oltre a Edoardo Rixi ministro della Giustizia.
Poi partirei per una vacanza di Natale leggermente più lunga del solitoin una località segreta del Pacifico meridionale e mi godrei lo spettacolo del Capitano alle prese con la legge finanziaria, il Def, gli eurocrati, l’Iva, i mercati, le agenzie di rating, i capricci del Berlusca, le intercettazioni di Savoini, gli sbarchi quotidiani a Lampedusa (in attesa che il decreto sicurezza venga massacrato dalla Corte Costituzionale).
E ogni settimana invierei un accorato messaggio alle Camere ricordando gli impegni sui rimpatri dei clandestini, il dramma della disoccupazione giovanile, le centinaia di tavoli di crisi aperti al Mise, la necessità di sbloccare i cantieri delle opere pubbliche, e persino l’impegno di rispondere alla Corte Costituzionale sul fine vita. E a malapena tratterrei la goduria di vedere Salvini prostrarsi tutti i giorni da Alessandro Di Battista e da Nicola Zingaretti (e magari anche da Matteo Renzi) per supplicare il voto su ogni legge presentata in Parlamento.
Qualche lettore potrebbe obiettare che dopo poche settimane Salvini si sottrarrebbe allo strazio presentando le dimissioni. Ed è proprio a questo punto che secondo me la natura democristiana dovrebbe manifestare tutto il suo potenziale, qual morso di crotalo. Mattarella dovrebbe respingere le dimissioni e rimandare il gabinetto Salvini alle Camere, che però inesorabilmente gli confermerebbero la fiducia e quindi lo costringerebbero a prolungare il supplizio.
A Salvini rimarrebbe solo la fuga e la richiesta di asilo politico in Russia insieme a tutti i ministri. Ma dubito che il compagno Putin gliela conceda. Gente finita in disgrazia, inseguita dalla folla, serve a poco anche come lacchè.