Arrivare al 26 agosto, indicare il componente per la commissione Ue spettante all’Italia e testare così la tenuta di una maggioranza in grado di sostenere un eventuale nuovo governo. Proprio quel nome sarà indicativo per individuare il profilo del futuro presidente del Consiglio (incaricato). Eccolo il crocevia per il possibile esecutivo di legislatura, su cui in queste ore stanno ragionando il M5s e le forze fin qui all’opposizione. Si sta convincendo anche Nicola Zingaretti, che fino a due giorni fa non voleva sentir parlare di altre opzioni che non fosse la corsa al voto. “Ma deve decidere Mattarella, solo lui deve poter dettare tempi e modi della crisi”, ripetono dal Nazareno. Oggi la priorità del segretario democratico è cercare di arginare Matteo Renzi e non far passare il messaggio che a “risolvere la crisi” sia stato lui. Ma allo stesso tempo rispondere agli appelli per fermare “l’emergenza democratica” rappresentata, secondo la sinistra, dalla Lega di Matteo Salvini.
Una delle soluzioni per i dem potrebbe essere quella di non votare la sfiducia a Giuseppe Conte, per consentirgli di comunicare a Bruxelles il nome italiano da inserire nella commissione europea. Solo dopo arriverebbero le dimissioni. Ma anche se l’attuale premier fosse costretto a salire al Colle, avrebbe comunque la possibilità di esprimere, da premier, la nomina. Insomma, è solo una questione di opportunità politica, in relazione al segnale che si vuole inviare e agli accordi che si troveranno con il fronte pentastellato. Sul nome del commissario stanno già lavorando le varie forze politiche. Spetta a Conte proporre un nome in grado di accontentare tutti, compreso il Capo dello Stato e, soprattutto, la commissaria Ue, Ursula Von der Leyen, che a questo punto potrebbe giocare un ruolo neanche troppo minoritario della soluzione della crisi italiana.
Se tutto andrà come immaginato, l’identikit del futuro premier sarà a molto aderente a quello del commissario. I renziani stanno pensando di fare il nome di Raffaele Cantone, presidente (in uscita) dell’Anac. È un profilo che piace, e tanto, e che davvero potrebbe unire il fronte antisalviniano. Gli zingarettiani, ad esempio, lo appoggerebbero a occhi chiusi, se non fosse che a proporlo sia stato proprio Renzi. E l’attuale titolare del Nazareno sta cercando in tutti i modi di non far passare il messaggio che a risolvere la crisi sia stato il suo rivale fiorentino. L’altro nome sul piatto è Mario Draghi, ma difficilmente troverebbe il consenso pentastellato, in primis, per non parlare della sinistra radicale. “Il nome lo fa Mattarella, non il Pd, non il M5s, non Forza Italia, non Renzi, non la Lega”, ripetono insistentemente dalla maggioranza dem.
Quest’ultimo presupposto è caro anche al M5s, che non vuole in alcun modo formalizzare l’unione d’intenti con Renzi. L’obiettivo è trovare il modo di andare avanti con la legislatura, facendo passare il messaggio che non si tratta di un “governicchio” ma di un’occasione per “cambiare l’Italia” e portare avanti le riforme “avviate ma bloccate da Salvini”. “Tagliamo i parlamentari e poi chi vivrà vedrà”, dice il senatore Nicola Morra. Un “governo politico”, concordano tutti, ma con un “nome di garanzia fuori dai partiti”. Anche con un “nuovo contratto”, azzarda qualcuno. Termine di cui però al Nazareno non vogliono sentire parlare. “Basta pagliacciate, i punti del programma li detta Mattarella, si va in Aula con quelli”, ripetono fonti dem. Che vorrebbero anche lasciare Di Maio fuori dal governo: “Si è troppo compromesso con Salvini”. Lettura utile anche ai renziani, in realtà, il cui fronte non è stato da subito compatto rispetto alla difficoltà di giustificare il cambio di rotta rispetto allo slogan “senza di me” gridato con forza da un anno a questa parte.
Intanto, il Pd resta a un passo dalla scissione. Il sostegno da parte di tutti a un governo di legislatura potrebbe ritardare questo processo, che in molti reputano inevitabile. Tecnicamente, i renziani in Parlamento dovrebbero passare al gruppo misto al Senato, essendo in vigore le restrizioni al regolamento volute dall’ex numero uno di Palazzo Madama, Pietro Grasso. La soluzione potrebbe essere quella di ottenere il sostegno del socialista Riccardo Nencini, eletto nel 2018 con la lista prodiana Insieme, che sarebbe disponibile a formare il nuovo gruppo renziano Azione Civile. “Qualche segnale è arrivato – conferma Nencini a ilfattoquotidiano.it – ma prima dobbiamo capire cosa accadrà”. Proprio Nencini è fra i senatori che vedrebbero di buon occhio un rallentamento della crisi rispetto a chi vorrebbe “bruciare le tappe”.
Ma ancor più che tenere unito il Pd, in questa fase Nicola Zingaretti ha anche a cuore la tenuta del costruendo centrosinistra, sul suo modello simil-ulivista. Che intorno ai fianchi della maggioranza dem, sia a”destra” che a sinistra, tifa per il governo di legislatura. I radicali di +Europa, settori di Forza Italia che non vogliono passare con Salvini, ma anche l’ex Leu. In un’intervista a Il Manifesto, la capogruppo del Misto al Senato, Loredana De Petris, ha lanciato l’appello per un “fronte ampio contro la Lega” che rappresenterebbe “un’emergenza democratica”. L’arrivo di Zingaretti al Nazareno è uno dei motivo che ha spinto l’ex ala sinistra dem a rientrare nell’orbita, dopo la spaccatura totale ai tempi di Matteo Renzi. Solo che in questa fase – lamentano fonti vicine agli ex leunini – “il dialogo con gli zingarettiani è quasi nullo” e “se si dovesse arrivare a mandare al governo chi chiede ‘pieni poteri’, permettendogli di avere una maggioranza tale da esprimere il prossimo Presidente della Repubblica, qualcuno dovrà prendersene la responsabilità politica e morale, di fronte al Paese e alla storia”.