Il 12 agosto 1944 560 abitanti del paesino toscano furono trucidati dalle truppe del Führer, aiutati dai fascisti locali. Alla commemorazione il ministro degli Esteri Moavero. Il sindaco: "Odio, razzismo, xenofobia sono diventati una cosa normale. L'ignoranza si combatte solo con la conoscenza". Il figlio della superstite: "Quella forza che ci investì è ancora viva". Il procuratore De Paolis, che ha istruito i processi dell'Armadio della Vergogna: "Colpe dei partigiani? Ce ne possono essere, ma stavano con chi si opponeva alle camere a gas"
Settantacinque anni dopo il massacro più feroce dell’occupazione nazifascista, oggi Sant’Anna di Stazzema ha 20 abitanti che ci vivono e 560 che ci riposano, per sempre, dal 12 agosto 1944. Un paese-museo, in cui i primi si sentono quasi di troppo. I secondi, forse, pure: CasaPound ha una sede a soli 10 minuti di macchina. La commemorazione per i 75 anni dalla strage nazista delle SS (aiutate dai fascisti della zona) sarà diversa dalle altre. Ci saranno un sindaco tedesco, uno greco e il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi: Sant’Anna sarà il palcoscenico per un richiamo europeo a combattere i nazionalismi oggi. “A Sant’Anna c’è un bel pezzo di Europa – dice a ilfatto.it il sindaco di Stazzema Maurizio Verona – Il nostro Paese è allo sbando. Odio, razzismo, xenofobia sono diventati una cosa normale. E’ in corso una semina d’odio nel silenzio completo delle istituzioni. La più grande eredità che abbiamo, l’Europa unita, si sta cercando di distruggerla attraverso un’ondata di notizie false, che assomiglia agli anni Venti: anche allora il consenso si basava su notizie false ripetute quotidianamente e il popolo pensava fossero verità assolute. Un sistema di ignoranza che si combatte solo con la conoscenza”.
Il pm “cacciatore di nazisti”: “Cose anacronistiche? Non lo sono”
All’anniversario parteciperà anche Marco De Paolis, procuratore generale militare della corte d’appello di Roma. Il “cacciatore di nazisti“: ha messo sotto processo i militari che hanno partecipato agli eccidi italiani la cui documentazione rimase chiusa per decine di anni nell’Armadio della vergogna. Ricordare, dice, non è retorica. “Sembrano delle cose anacronistiche e invece purtroppo non lo sono – spiega a ilfatto.it – La deriva razzista verso la diversità è una cosa che è sempre presente nella storia, soprattutto quando c’è stato bisogno di giustificare interventi militari e guerre”. Oggi gli estremisti di destra sostengono che Sant’Anna fu colpa dei partigiani. “Se avessi davanti un ragazzo che pensa questo, intanto gli narrerei i fatti come si sono svolti: a cominciare dal fatto che avevamo a che fare con degli invasori, persone che avevano invaso illegittimamente il nostro Paese. Cominciamo a ricordare le cose per quello che sono state. Certamente non tutto quello che hanno fatto i partigiani, così come gli Alleati, è stato positivo, ma questo non significa che non stessero dalla parte giusta, di chi si opponeva alle camere a gas, allo sterminio di massa. Questo è il punto, tutto ruota attorno a questo”.
La storia del 12 agosto 1944: tra le vittime donne incinte e bambini
Il 12 agosto del 1944, all’alba, le SS accerchiarono Sant’Anna da tre strade diverse. I soldati del Führer, guidati dai fascisti versiliesi, crivellarono con le mitragliatrici donne incinte, bambini, anziani, e dettero fuoco ai corpi, 560. Gli uomini del paese, certi che i soldati arrivassero per prendere loro, si erano nascosti nei boschi di faggi e lecci. Ma al loro ritorno, il mondo era finito per sempre. La piazza della chiesa, fino alla sera prima colma di sfollati sfuggiti ai bombardamenti delle città, era abitata dal puzzo di carne bruciata e dal silenzio, rotto dai deliri dei padri e dei mariti, alcuni decisi a buttarsi nel mucchio dei corpi, altri intenti a chiamare con il nome dei figli morti i piccoli che si aggiravano, soli e ammutoliti, per il paese. Tra questi anche Enrico Pieri, oggi 85 anni e presidente dell’associazione Martiri, sopravvissuto, a 10 anni, all’intera famiglia.
Sant’Anna oggi: le studentesche in visita, gli abitanti vivi e quelli morti
Da allora, anche settantacinque anni dopo, Sant’Anna ruota intorno al 12 agosto. Il paese, abitato da una ventina di persone, brulica di pullman che fanno su e giù per la mulattiera scoscesa: studenti trascinati dagli insegnanti al Museo della Resistenza, dal quale escono spesso in lacrime. “Ora ci sono più visitatori rispetto a una volta, tantissimi, anche tedeschi, grazie ai gemellaggi. Ma chi ha la casa, in tanti l’hanno venduta e chi l’ha tenuta ci viene poco”, spiega al fatto.it Donatella Berretti, figlia di due superstiti, che passa 6 mesi all’anno nella sua casa di Sant’Anna con vista sulla chiesa. “Per me il mio paese è la mia vita. Chi visita Sant’Anna deve farlo con rispetto, per i morti ma anche per chi ci vive. Una volta una turista ha rimproverato un mio parente perché lavava la macchina nel suo giardino, vicino alla chiesa. Ma lì lui ci abita. Non è tutto un ossario”. Donatella custodisce gelosamente i diari della madre Leopolda Bartolucci: appunti, storie e testimonianze, comprese quelle degli sciacallaggi sui corpi.
Il figlio della superstite: “Quella forza che investì Sant’Anna è ancora viva”
C’è chi invece pensa che la memoria sia un patrimonio collettivo, il sistema immunitario della democrazia, e debba essere il più possibile celebrata e condivisa. E’ Graziano Lazzeri, segretario dell’associazione Martiri, anche lui figlio di due superstiti: la madre, Adele Pardini, era sorella di Anna, la vittima più giovane, di 20 giorni. “Ci dicono ‘datevi pace’, ma la pace te la dai quando sei certo che quello che portò via i tuoi familiari allora, è disinnescato – confessa Graziano – Ma noi sappiamo bene che quella forza che 75 anni fa investì il paese di Sant’Anna è ancora viva e vegeta“.