Tutti gli organismi scientifici, internazionali e nazionali, sono d’accordo: siamo sull’orlo di una micidiale catastrofe ambientale a livello planetario, preannunciata ormai tutti i giorni da sconvolgimenti climatici sempre più estesi e violenti. Se non si interviene in fretta rischiamo addirittura l’estinzione. E ce lo ricordano con forza milioni di giovani che in tutto il mondo scendono in piazza per chiedere ai nostri governanti immediati interventi per arrestare un tipo di sviluppo basato sulla rapina e sulla distruzione delle risorse naturali già gravemente compromesse.
In questo quadro, il primo obiettivo di tutte le forze politiche dovrebbe essere, quindi, un programma di azione incentrato su questa gravissima emergenza, lasciando da parte qualsiasi altra considerazione e qualsiasi calcolo elettorale. Tanto più quando, come nel nostro paese, si apre una crisi di governo e si rimette tutto in discussione. Occorre al più presto delineare un quadro di intervento che in un primo tempo attenui le conseguenze dell’emergenza climatica e agisca riducendo i fattori di rischio. E, in un secondo tempo, ma sempre in tempi brevi, affronti il nodo centrale dell’impatto di questa economia sul pianeta e sulle sue risorse.
Come efficacemente riassunto dal miglior documento mai scritto sull’ambientalismo, l’Enciclica Laudato sii, “cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale. Una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa sfida…. La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana”.
In altri termini, “affinché sorgano nuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di «cambiare il modello di sviluppo globale», la qual cosa implica riflettere responsabilmente sul senso dell’economia e sulla sua finalità, per correggere le sue disfunzioni e distorsioni…. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso. D’altra parte, molte volte la qualità reale della vita delle persone diminuisce – per il deteriorarsi dell’ambiente, la bassa qualità dei prodotti alimentari o l’esaurimento di alcune risorse – nel contesto di una crescita dell’economia”.
Insomma, il problema ambientale (il cui aspetto più evidente e drammatico è l’attuale sconvolgimento climatico) non può essere risolto, come sino ad oggi è avvenuto, considerando importante “anche” l’ambiente né con qualche pannicello caldo e qualche intervento parziale. Occorre un ripensamento totale del nostro modello di vita e di sviluppo che, partendo dalla centralità del rapporto uomo-ambiente, coinvolga sia le istituzioni sia i cittadini, con la piena consapevolezza che devono cambiare i parametri attuali di “progresso”, “benessere” e “crescita” oggi rapportati esclusivamente ai “valori” del PIL e a criteri economici quantitativi.
Si tratta, come appare evidente, di un compito immane e certamente non indolore. Specie in un paese, come il nostro, dove tanti sono pronti a dichiararsi ambientalisti purchè eventuali sacrifici non li riguardino: troppo spesso coloro che più tuonano contro il caos del traffico e dell’inquinamento sono gli stessi che in città usano suv e diesel, lasciano l’auto in seconda fila e, se fa caldo, tengono acceso il motore anche da fermi per usufruire del climatizzatore.
Ma, allo stesso tempo, occorre avere la consapevolezza che questo cambiamento drastico non è una opzione ma una scelta obbligata, cui è preferibile arrivare tramite il consenso e la democrazia. Per fare questo servono conoscenza, cultura e riflessione nei partiti, nelle istituzioni e nei cittadini. Occorre, soprattutto che la gente torni a ragionare con la propria testa e capisca i veri termini del problema ambientale. Compito certamente difficile in un’epoca di “like” e “followers”, in cui gli “influencer” ragionano (e scelgono) per noi e in cui si sta avverando il sogno industriale di creare consumatori in batteria.
Bisogna, insomma, parlare alla gente e con la gente affinché ciascuno possa ragionare e valutare la reale portata del rapporto con l’ambiente anche nelle scelte quotidiane di azione e di consumo. Il ripudio della plastica monouso, ad esempio, di certo non è una proposta risolutiva ma assume una enorme valenza politica purché sia chiaro che si tratta di piccoli passi verso un cambiamento ben più radicale, che, se vogliamo sopravvivere, dovrà, comunque, avvenire necessariamente e in fretta. Anche se oggi sembra utopia pura.