La Chiesa italiana è arrivata decisamente impreparata alle elezioni europee e ora rischia di ripetersi qualora si votasse a breve per le politiche. Già nei giorni dell’approvazione del decreto sicurezza bis si è notato un insolito silenzio da parte delle gerarchie ecclesiastiche, rotto soltanto da sporadici, quanto inefficaci, segni di disapprovazione, mentre il leader della Lega continua a usare in modo improprio i simboli religiosi tra invocazioni alla Madonna di Medjugorje e baci al rosario al termine dei suoi comizi balneari.
Quello che si sta registrando nei giorni della crisi del governo Conte è un insolito e assordante silenzio da parte dei vertici della Chiesa italiana, con l’immagine di una Cei che appare stordita da quanto sta avvenendo nei palazzi della politica, mentre è quasi assente una proposta cattolica nel panorama elettorale che si sta delineando. Ciò senza dimenticare che la maggioranza dei cattolici praticanti, cioè di coloro che partecipano regolarmente alle messe e alla vita delle loro parrocchie, che sono andati alle urne per l’europee hanno dato il loro voto a Matteo Salvini. Nonostante la proposta della Lega sia decisamente antitetica al Vangelo. Basti pensare soltanto a ciò che l’una e l’altro affermano in tema di accoglienza dei migranti.
Lo stesso Papa Francesco, pur senza citare esplicitamente alcun leader politico, ha affermato recentemente che “il sovranismo è un atteggiamento di isolamento. Sono preoccupato – ha detto Bergoglio – perché si sentono discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934. ‘Prima noi. Noi… noi…’: sono pensieri che fanno paura. Il sovranismo è chiusura. Un paese deve essere sovrano, ma non chiuso. La sovranità va difesa, ma vanno protetti e promossi anche i rapporti con gli altri paesi, con la Comunità europea. Il sovranismo è un’esagerazione che finisce male sempre: porta alle guerre”. Impossibile, però, non collegare istintivamente quel “prima noi” pronunciato da Bergoglio con lo slogan ripetuto continuamente da Salvini: “Prima gli italiani”.
Al di là di quelle che sono le inevitabili e inconciliabili differenze tra la Chiesa cattolica e la Lega, ciò che deve destare maggiore preoccupazione, insieme a grande stupore, è lo stato di assoluta quiescenza nel quale sembra trovarsi la Cei dinanzi alla situazione politica attuale. Non si tratta di rimpiangere la gestione del cardinale Camillo Ruini, che sicuramente sarebbe già sceso nell’agone da tempo e in modo deciso, cercando di contrastare prima il decreto Sicurezza bis e ora tentando di determinare l’esito delle prevedibili elezioni politiche. Anche l’era del cardinale Angelo Bagnasco, seppure più mite rispetto a quella di don Camillo, ha segnato posizioni chiare ogni qual volta i governi che si sono succeduti sono entrati in contrasto con il magistero della Chiesa.
Senza dimenticare nemmeno il tanto criticato interventismo dell’ex segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, che per anni ha infiammato il dibattito con i suoi durissimi anatemi contro la classe politica da lui definita senza mezzi termini “un puzzle di ambizioni personali all’interno di un piccolo harem di cooptati e di furbi”. Ma ciò fa parte ormai della storia, seppure recente, della Chiesa italiana e di certo non si può vivere di rimpianti. Ma nemmeno di un vuoto spaventoso.
Al momento, l’unica rappresentanza cattolica nel panorama politico degna di nota è quella di Democrazia solidale, Demos, realtà nata all’interno della Comunità di Sant’Egidio, che si è già affermata con un significativo risultato nelle elezioni regionali del Lazio e in quelle europee. “Le forze politiche e della società civile che hanno un’altra idea di Paese e di società rispetto ai sovranisti demagoghi, lancino una proposta unitiva e alternativa a chi dopo aver illuso promettendo il cambiamento e ciò che non può realizzare, chiede ‘pieni poteri’ per condurci al baratro”, è l’appello del coordinatore di Demos, Paolo Ciani. Magari se anche la Cei battesse un colpo non sarebbe male.