Il momento per i 5 stelle è cruciale e mai il clima è stato così teso. Non tanto per quello che chiamano “il tradimento” di Matteo Salvini, ma piuttosto per quello che sarà. Perché la strada che prenderanno una volta al bivio che traccerà il presidente della Repubblica, rischia di segnare la storia del Movimento. Andare al voto con il rischio di scomparire o almeno con la consapevolezza di tornare all’opposizione? Oppure accettare di fare un altro contratto e questa volta firmarlo con il Partito democratico? “Il casino l’ha fatto la Lega e non tocca a noi risolverlo”, è il ragionamento che fanno dentro il M5s. Ma la crisi con la Lega ormai è aperta e le pressioni sono tante: prima fra tutte quella del Colle. Se Sergio Mattarella ha fatto sapere in tutte le le lingue che “non sarà lui a preparare maggioranze”, proprio perché non spetta al suo ruolo, i 5 stelle raccontano che, tramite i suoi consiglieri, il Quirinale sta facendo capire la sua apertura a una nuova formazione che si presenti con un progetto stabile. Insomma, come già un anno fa, ci sarà un accompagnamento e una predisposizione a trovare una soluzione.

Una data limite c’è e l’ha fissata il Senato ieri: il 20 agosto Giuseppe Conte farà le sue comunicazioni al Parlamento e solo a quel punto si capirà se per arrivare alle dimissioni sarà necessario un voto di sfiducia dell’Aula. Poi inizieranno le consultazioni e Luigi Di Maio e i suoi dovranno avere le idee chiare. Cosa che per il momento non è per niente scontata: “Se fossimo un partito normale”, racconta un parlamentare a ilfattoquotidiano.it, “sarebbe già pronto l’accordo con il Pd. Il gruppo parlamentare è pronto: non si vede perché abbiamo dato una chance a Matteo Salvini e non dovremmo darla ai democratici”. Ma non è così facile. “Diciamola così”, rilanciano dal fronte più dialogante, “la strada è difficile ma non impossibile”. Insomma, non solo i contatti ci sono, ma ci lavorano in tanti. Del resto il via libera più importante è già arrivato ed è quello di Beppe Grillo: “Ci ha lasciato aperte tutte le strade”, dicono facendo riferimento al suo ultimo post sul blog. La benedizione del fondatore non è poco, senza contare che da Davide Casaleggio non sembra esserci nessun veto. Chi resiste allora? Di Maio non è contrario, ma sicuramente per il momento è il più rigido: la sua figura è ormai compromessa e se nessuno ha il coraggio di metterlo in discussione a microfoni accesi, dietro le quinte è la pedina che balla per prima. Da non dimenticare poi l’elemento Alessandro Di Battista: l’ex deputato, da mesi in contrasto con il capo politico, vuole il voto il prima possibile e si porta dietro un bel gruppo di esclusi. Una via d’uscita, come sempre quando le previsioni si fanno nere, sarà chiedere l’opinione della base sulla piattaforma Rousseau proprio come fu per il contratto con il Carroccio: ma per arrivare alla rete, prima sarà necessario accettare di sedere al tavolo. E su questo punto nessuno si è ancora espresso ufficialmente.

Accordo con il Pd, per molti non è più un’eresia – Se gliel’avessero detto due settimane fa si sarebbero fatti una risata, eppure la corrente che chiede di provare a sedere al tavolo con i democratici è molto consistente. “Salvini deve assumersi la responsabilità di quello che ha fatto”, dicono. “Ma anche noi. E non possiamo permetterci di lasciare il Paese nelle mani della Lega con una manovra ancora da scrivere”. Certo, i 5 stelle dicono di essere pronti alle elezioni, ma la verità è che le urne domani vorrebbero dire “uno sterminio”. Se la legge elettorale non viene cambiata e se i sondaggi fossero confermati, i grillini rischierebbero di perdere tutti i collegi uninominali. Senza contare le difficoltà a essere rieletti al Nord, ma anche per chi è in terza o quarta posizione nelle liste al Sud. “Quando mai ci potremo ritrovare in una posizione di forza per poter fare qualcosa a livello di governo?”, è l’osservazione che fanno in tanti. A esporsi apertamente per il momento sono stati in pochi, anche se fonti interne garantiscono che il gruppo parlamentare è quasi interamente schierato per un esecutivo di responsabilità con il Pd o con chi è disponibile.

Il senatore Primo Di Nicola, già lunedì 12 agosto, parlando al Corriere della sera ha definito l’apertura dei democratici “una proposta di grande responsabilità” che “mette davanti gli interessi del Paese a quelli di partito”. Una formula usata dallo stesso Conte il giorno dopo, che parlando a Foggia ha detto: “Non conta il colore politico, contano gli interessi del Paese”. Non una scelta casuale. Di Nicola l’ha detto anche nell’assemblea congiunta di lunedì 12 agosto: “Il Movimento deve assumersi la responsabilità di governare”, di “cambiare la legge elettorale” e soprattutto “tutelare i provvedimenti fatti dal M5s e che Salvini vuole già smantellare, primo fra tutti il reddito di cittadinanza”. La sua voce non è isolata. Il deputato Giorgio Trizzino ad esempio, siciliano noto per essere vicino alla famiglia Mattarella, intervistato da Live Sicilia, ha detto queste parole: “Io spero che ci sia un governo istituzionale, non di centrodestra, che eviti il voto a breve termine, nell’interesse del Paese. E credo che in Parlamento ci sia la volontà di essere costruttivi, responsabili e di salvare la finanziaria”. L’altro a esporsi è stato il deputato Giuseppe Brescia, che ha parlato di “un governo di scopo” per fare una nuova legge elettorale. Il problema è proprio vedere cosa si vuole fare. Il sottosegretario Stefano Buffagni, sempre in assemblea, ha detto che “al momento non ci sono i presupposti”, ma prima bisogna decidere “cosa vogliamo fare”. Il margine insomma c’è. Chi per il momento respinge ogni investitura come mediatore è Roberto Fico: il presidente della Camera è il portavoce naturale di un’ala più vicina alla sinistra, ma, continua a ripetere ai suoi, in questa fase delicata non vuole venire meno al ruolo super partes. Anche per questo, senza forzare in alcun modo il regolamento, ha fissato la discussione della legge per il taglio dei parlamentari il 22, ovvero dopo che Conte ha parlato e dopo le eventuali dimissioni. Ha solo rispettato le norme, ma mentre la gara è a chi corre più forte, scegliere di rispettare le tappe è già un gesto verso il Quirinale. E il Partito democratico.

Ma Renzi rimane il problema e c’è chi spinge per le elezioni il prima possibile (con deroga al secondo mandato) – Il sentiero per quanto già tracciato sembri, è già in salita. E nelle ultime ore è nato un altro problema che si chiama Matteo Renzi. L’ex segretario Pd e nemico giurato dei 5 stelle ha voluto fare il regista della crisi e mettere il cappello sulla nuova maggioranza. “Quello è il problema, con la ‘p’ maiuscola”, commentano sempre fonti M5s. “Non possiamo dire ai nostri elettori che ci sediamo al tavolo con lui. Ci mangiano”. Il primo ostacolo è stato superato: dal fronte Pd e pure quello renziano, sono pronti a firmare il patto e sembrano fare sul serio. E’ dal fronte M5s che non tutti sono pronti a digerirlo. “Dipende da come riusciamo a raccontarlo”, spiegano. “Ma anche se riusciremo a far capire che ce lo chiede il Colle”. Chi frena è Luigi Di Maio. Ripete di aspettare Mattarella e prendere tempo. Il fatto, lo sanno tutti, è che se si fa un accordo con i democratici, è molto probabile che chiederanno la sua testa: è ritenuto troppo compromesso con quello che era il governo gialloverde per poter restare. Così anche figure come Danilo Toninelli, ministro già in bilico con Salvini. Se invece si andasse al voto, si potrebbe procedere con la deroga del secondo mandato: ovvero i big che sono già stati per due turni in Parlamento, potrebbero essere riconfermati in blocco. E quindi anche Di Maio, con una rielezione praticamente scontata. I più maligni assicurano che il capo politico sta facendo anche questo ragionamento. “Non capiscono che se oggi diciamo ai nostri elettori che siamo pronti a fare eccezioni per tenerci la poltrona, facciamo proprio la figura della casta”, si lamenta una parte. Chi invece vuole il voto a tutti i costi è Alessandro Di Battista: che voglia rientrare in gioco lo sanno tutti e pure che non scorra buon sangue con il vicepremier M5s ormai da tempo. Ma se tornano al voto i 5 stelle hanno bisogno anche di lui, che quindi potrebbe rientrare nella squadra e tornare ad avere voce in capitolo. Se non a prendersi la leadership direttamente.

La carta di Conte – Bivio o no, tra le poche armi che hanno ora in mano i 5 stelle c’è la figura di Giuseppe Conte. Il premier non parla da giorni e solo ieri si è presentato a Foggia, dove ha incontrato gli amministratori locali. E’ stato un bagno di folla. Che il premier si sia ritagliato un suo spazio è già chiaro a tutti da mesi e ora il M5s spera di poterlo usare a suo favore. Questo vuol dire sia poterlo usare come candidato in caso di elezioni anticipate, ma anche poterlo spendere come leader di una nuova maggioranza con il Pd. “Lui ci copre”, raccontano dentro il M5s. Che è come dire, “è ancora uno dei nostri”. Per ora pure Renzi non ha messo veti: “Non ha brillato, ma decidono i partiti”, ha detto. Tenere lui renderebbe più facile anche far digerire alla base un accordo con i democratici, lasciando intendere che la guida rimane a 5 stelle. Comunque per ora siamo nel campo delle previsioni e tutto dipenderà da cosa succederà nelle prossime tappe della crisi. A partire dal discorso di Conte al Parlamento. La partita ora è nelle mani dell’avvocato, che, se si dovessero mettere male le cose, ha anche una via d’uscita già segnata: candidarsi a diventare commissario italiano a Bruxelles. “Non correte. Abbiamo bisogno di risposarci e riflettere”, scrivono i grillini nelle chat. “Tutto può ancora cambiare”. A correre però è il tempo e le prossime mosse sono decisive non più per il governo gialloverde, ma per il futuro dei 5 stelle.

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