“Quando i miei amici milanesi si sono laureati, io avevo già due anni di esperienza lavorativa. Ora, con la specialistica e un master, molti sono in stage, quando va bene. Per questo tornare in Italia mi spaventa”. Beatrice Ugolini si è laureata negli Stati Uniti e ora lavora a Shanghai, in Cina, dove dirige un ufficio di university counselling in un liceo internazionale. Si occupa quindi dell’orientamento degli studenti liceali in vista dell’università: una figura che in Italia non esiste. Beatrice parla fluentemente tre lingue, è capo dipartimento e coordina un team di sei persone: un incarico di responsabilità ottenuto a 25 anni, età in cui i suoi amici italiani, mediamente, entrano nel mondo del lavoro. “Ho fatto un bachelor al Bennington College, un percorso di studi che qui corrisponderebbe alla laurea breve, ed è bastato per trovare lavoro. In Italia non sarei mai stata presa sul serio”.

La svolta, per Beatrice, arriva quando è studentessa al liceo Beccaria di Milano. Decide di frequentare il penultimo anno negli Stati Uniti “contro il parere dei miei insegnanti – sottolinea – più preoccupati della maturità che del mio futuro: avrò forse trascurato lo studio del latino e del greco, ma quell’anno all’estero mi ha cambiato la vita”. Appena rientrata in Italia per l’ultimo anno di liceo, fa domanda per proseguire gli studi universitari oltreoceano ed entra al Bennington College, nel Vermont, per studiare Arti liberali. “In Italia non esiste nulla del genere: è un percorso che punta a un’ampia conoscenza generale, in cui è più importante il come si apprende che il cosa. Ho potuto costruirmi la mia facoltà strada facendo”. Nel piano di studi inserisce filosofia politica, storia e cultura cinese. “Ora mi rendo conto di aver fatto la scelta giusta, il cinese è la lingua del futuro, negli Stati Uniti alcune scuole lo insegnano già alle elementari”.

L’altra data da segnare in rosso sul calendario è l’estate del 2018: si trasferisce in Cina, dove aveva già passato un semestre negli anni universitari. Paese con una cultura antichissima, sospeso tra tradizione e progresso, affascinante ma pieno di contraddizioni: “L’atteggiamento cinese, oggi, è molto spiccio e orientato verso il guadagno, perciò si lavora sempre, non esistono domeniche o giorni di chiusure”.

La convivenza con gli stranieri, spiega, non è sempre facile: anche per via di un difficile retaggio storico, l’eredità post-coloniale, resiste lo stereotipo del ‘ricco occidentale’ che vuole solo far soldi. “I cinesi sono molto orgogliosi della loro identità nazionale, la divisione con gli ‘stranieri’ è più o meno netta a seconda di dove vai. Qui a Shanghai però ho trovato persone molto aperte, che hanno voglia di condividere la loro cultura“. Beatrice racconta del rapporto di fiducia che si è creato con i vicini, come la signora ottantenne che le raccoglie la posta pur non conoscendola personalmente. “Se ti incontrano all’ora di pranzo ti chiedono se hai mangiato: è un modo indiretto per chiederti se stai bene”.

Beatrice racconta le contraddizioni della Cina, come la censura di Internet: “Esiste un servizio a pagamento offerto tramite app, Vpn, con cui si può navigare su Google o su Facebook. Apparentemente non cambia nulla, ma ci sono momenti in cui il governo ti toglie questo privilegio”. Come il 4 giugno, anniversario del massacro di piazza Tienanmen: il governo ha limitato l’accesso ad Internet, oscurando molti contenuti. “Per la storia cinese non esiste, come se non fosse mai avvenuto: molti miei colleghi non sanno esattamente cosa sia successo”. Invece, l’app indispensabile è Wechat, con cui si fa davvero tutto: si chatta, si chiama un taxi, si paga alla casa. “Io praticamente non mi porto mai dietro il portafoglio“, conferma Beatrice. La cosa che la stupisce di più è il modo fare la spesa: “Qui non esistono i supermercati, tranne quelli occidentali. Si compra nei mercatini sparpagliati per le vie di Shangai, ma quasi tutti si fanno consegnare la spesa a domicilio, costa pochissimo e arriva nel giro di mezz’ora. Come gli ordini online: compri la mattina e lo ricevi il pomeriggio”. La cosa che più l’affascina, però, è vedere le persone ballare la sera nei parchi: “Soprattutto gli anziani: la mattina fanno tai chi e la sera ballano, sono molto attenti alla salute”.

Beatrice parla della sua nuova vita col sorriso, e aggiunge: “Mi sono resa conto che a me l’Italia non manca”. Spesso la sua sincerità viene presa come un affronto alle proprie origini, spiega con amarezza. Ma vivere dall’altra parte del globo comporta sacrifici: come quando sono morti i suoi nonni, e lei non è mai potuta rientrare per i funerali, o la consapevolezza che tutto il tempo passato lontano dalla sua famiglia non potrà essere recuperato. “C’è sempre un po’ di tristezza e rimpianto alla fine di una chiamata su Skype con i miei genitori”. Ma quando le chiedono se tornerà, non ha dubbi: “Forse mai. Guardando le esperienze lavorative dei miei amici, ho paura che qui sarei sottovalutata, sfruttata e sottopagata. Quando leggo le statistiche su laureati e lavoro mi chiedo cosa farei adesso, se fossi rimasta in Italia. Forse alla fine sarei andata all’estero comunque”.

Beatrice continua a seguire le notizie che arrivano dall’Italia, si informa e ha votato alle ultime politiche. “A me piacerebbe che il nostro governo si preoccupasse di quanto capitale umano entra in Italia a cui non diamo risorse, perché sono rifugiati, e percepiamo il loro valore umano come inferiore al nostro”. Ciò che la infastidisce di più, dice, è il rancore verso chi sceglie di andarsene: “Vedo una fastidiosa tendenza a puntare il dito contro i ragazzi che scelgono di partire. Non ce ne andiamo per scappare, ma per poter crescere e migliorare. Siamo tutti in movimento, nel mondo globalizzato. Vogliamo imparare il più possibile da altri Paesi e magari, un giorno, poter restituire tutto questo al nostro”.

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