L’indie è morto. Detta così può sembrare una affermazione pesante e perentoria, ma il vento nell’ultimo anno è decisamente cambiato, come ha notato anche il rapper Salmo: “Torneremo alla musica di vent’anni fa”. Gli artisti “alternativi”, alla fine sono rimasti in pochissimi. Molti hanno subito il richiamo magico delle major discografiche, delle grandi agenzie Live e di progetti ad hoc in grande stile. Del resto lo dicevano anche i latini “pecunia non olet”, ossia “i soldi non hanno odore”. La scia “magica” esplosa nel 2015 si sta forse già esaurendo, in piedi a testa alta sembra rimasta solo la trap che, per ora, non mostra segni di cedimento.
E così succede che a riempire i palazzetti, in un momento di crisi temporanea per i Live, soprattutto per alcuni Big della musica italiana, sono Coez, Gazzelle, Calcutta (ma non ditegli che è una star pop, perché tutto questo non l’ha cercato) e via dicendo. Insomma sono proprio loro il nuovo pop. Eclatante è stato l’esempio dei Thegiornalisti che dall’etichetta indipendente Carosello sono passati alla major Universal-Island Records con il singolo estivo “Maradona y Pelé”. Ma Tommaso Paradiso e soci non hanno mai fatto mistero di voler comunque cavalcare l’onda del successo, anche se a tinte pop.
Cosa rimane allora nel vasto panorama della musica indie italiana? Un ritorno dei cantautori in senso stretto. Come ad esempio, Nostromo, Delmoro e Fulminacci. Il primo ha lanciato il singolo “Giradischi” che cattura subito al primo ascolto per la semplicità e per il suo essere un brano “sincero”: “Da qui è partito tutto, e da qui ho capito come e cosa dovevo fare nella mia vita”. Sanremo Giovani in vista? “Non amo la competizione”. Delmoro, il cui nome è Mattia, è un architetto con il pallino della musica. Il suo album “Balìa” si presta a una duplice interpretazione. Cosa ne pensa dell’indie tramutato in pop “Dico che chi ha scelto di passare dall’altra parte della barricata, lo ha fatto magari per scelta o per necessità. Se hai in testa un preciso progetto, lo porti avanti causando anche ribaltoni. Non faccio di certo il bacchettone”. Infine Fulminacci, vero nome Filippo Uttinacci. L’unico dei tre sotto etichetta indipendente con la Maciste Dischi che ha nella sua scuderia Gazzelle e Canova. Ma anche Fulminacci respinge l’etichetta di indie: “Ormai è un fenomeno che si è diffuso a livello mainstream. Dai concertini per poche persone, dalle piccole etichette , all’ingresso in realtà ancora più grandi con la trasformazione in tutto ciò che è pop. Onestamente però, confesso, non ho mai capito cosa volesse dire questo fenomeno indie”.
Dunque cos’hanno in comune questi tre cantautori? La semplicità, la voglia di arrivare dritti al cuore del pubblico, ma soprattutto la capacità di usare lo strumento canzone come fosse una seduta psicanalitica. Una sorta di grande incontro collettivo, per condividere idee, preoccupazioni, dolori, riflessioni. Un po’ come succedeva con le grandi scuole dei cantautori del (come suona strano dirlo…) Novecento, Dalla, Paoli, Tenco, De Andrè e tanti altri. Stiamo assistendo dunque a una nuova ondata di cantautori? Sì. C’è da capire se anche loro saranno fagocitati, qualora dovesse arrivare il grande successo, dalla macchina gigantesca delle major. E se in realtà l’indie non fosse proprio morto, ma resuscitato in altre forme? Se in quest’ultimo anno specialmente stesse nascendo una nuova scuola di cantautori come negli Anni 60 e 70? Le premesse ci sono tutte, tanto che l’attenzione delle major, sempre in cerca di linfa vitale per nutrirsi, è altissima.