“Quando ti dicono che hai quella cosa, in quel posto, e di quel tipo, basta che guardi su internet per leggere che hai al massimo dieci mesi. Lei ne ha fatti venti”. Ai funerali ha appoggiato la sua cravatta nera sulla bara bianca e in un’intervista al Messaggero, l’autore e ideatore de Le Iene Davide Parenzo ha voluto ricordare così Nadia Toffa, scomparsa il 12 agosto scorso, sottolineando che per lui era “come una figlia”. “Nadia odiava essere definita malata. È stata una guerriera, fino all’ultimo giorno”, ha raccontato ricordando questi mesi trascorsi insieme dopo che la conduttrice ha scoperto di essere malata, nel dicembre del 2017.” È stata bravissima a portare avanti tutto, nonostante gli attacchi e le operazioni, ma è difficile stare vicino a una persona che ha il destino segnato. E Nadia lo sapeva. È andata avanti lo stesso, ha condotto il programma sapendo che sarebbe finita così”.
“Il fatto che lavorasse l’ha tenuta in vita più di quanto la malattia le potesse permettere. È una malattia spietata. Ovviamente sono stati bravissimi i suoi dottori, capaci di allungarle la vita con le giuste cure – ha raccontato Parenti -. Ma aver continuato a lavorare, avere un appuntamento cui tornare, un impegno con il pubblico, era per lei una delle ragioni per continuare a vivere. È arrivata sfinita alla fine della stagione. Durante le ultime puntate faceva fatica anche a camminare. Eppure veniva, e faceva i balletti. Qualcuno sui social si è accorto della sua difficoltà. Ma lei comunque faceva tutto. Non è riuscita a venire solo all’ultima puntata, le altre le ha fatte tutte. Purtroppo le sue condizioni si sono aggravate proprio all’ultimo. Se fossimo riusciti a chiudere insieme avremmo forse potuto, in qualche modo, ricominciare con meno difficoltà. Ma così è stata una cosa che ci ha piegato le gambe”.
Nonostante tutto “Nadia era su di morale, era la più up di tutti, ma fra di noi sapevamo come sarebbe finita la vicenda. Lei diceva che non voleva essere trattata da malata. Chi ha il cancro finisce per essere considerato dagli altri quasi una non persona, e allora meglio considerarsi un guerriero che un malato. Un guerriero è uno che non ha alcuna intenzione di spegnersi. Il lavoro le ha dato la forza di andare avanti”.