di Stefano Agustoni*
Provate a immaginare la quantità di acqua contenuta in 200 vasche da bagno e moltiplicate questa cifra per il numero della popolazione mondiale, circa 7,7 miliardi. Ora cercate di visualizzare una superficie pari ad una volta e mezza l’Unione europea, oltre sei milioni di chilometri quadrati. Queste mastodontiche cifre possono far capire meglio, forse, alcune condizioni ambientali inquietanti che stanno connotando la torrida e terribile estate artica del 2019.
L’acqua contenuta in circa 1600 miliardi di vasche da bagno corrisponde grossomodo alla quantità di ghiaccio che la Groenlandia ha perso nelle ultime settimane: con temperature che hanno oltrepassato i 20°C, dallo scorso mese di luglio se ne sono andati in mare circa 250 miliardi di tonnellate di ghiaccio. Nella sola giornata del 30 luglio la Groenlandia ha perso 12,5 miliardi di tonnellate di ghiaccio, in altri termini s’è riversata in mare una quantità di acqua pari al contenuto di cinque milioni di piscine olimpioniche. La grande isola nordica perde ghiaccio sia attraverso fusione superficiale sia attraverso deflussi di ghiacciai di sbocco.
Questa è l’ennesima estate da fusione accelerante. L’ennesima estate…liquida. Un aspetto relativamente nuovo dei cambiamenti climatici, ben messo in evidenza dalle immagini satellitari raccolte dall’Agenzia spaziale europea e dalla Nasa, è anche l’aumento dei grandi incendi nell’area attorno e oltre il circolo polare artico. Un fenomeno che viene ricondotto all’anomalo ed estremo incremento delle temperature che segna anche questa ennesima estate nordica.
Nell’Artico, infatti, si batte un record climatico dopo l’altro. Per esempio in Siberia la temperatura dello scorso mese di giugno è stata di dieci gradi più calda della media del trentennio 1981-2010. In Alaska a inizio luglio sono stati raggiunti 32 gradi, 13 gradi sopra la media, tre in più del primato precedente. Sul mare di Bering non c’era mai stato così poco ghiaccio e giugno 2019 è stato il più caldo da oltre un secolo. Per quanto concerne estensione totale, volume e spessore della banchisa artica, siamo oggi vicini ai livelli del record negativo del 2012.
L’ondata di calore estremo che ha messo in ginocchio l’Europa nel mese di luglio, s’è infatti spostata nelle regioni artiche, dove le temperature hanno superato di 10-15 gradi quelle normali di stagione, causando, appunto, una fusione glaciale estrema.
E, come detto, vasti incendi. La coltre generata dai moltissimi roghi che stanno infiammando il grande nord – oltre cento quelli fotografati dallo spazio da due mesi a questa parte, dall’Alaska alla Siberia passando per Canada e Groenlandia– ricopre oggi un’area pari a oltre 6 milioni di kmq, la maggior parte dei quali nella sola Siberia.
Stiamo parlando di qualcosa che non ha precedenti: si tratta del numero più alto di incendi in questa regione nordica da 16 anni a questa parte, quando è iniziato un monitoraggio preciso.
Oltre che numerosi, i roghi sono anche persistenti perché intaccano un tipico terreno artico che – come spiegano gli esperti – è particolarmente favorevole alla propagazione e alla persistenza del fuoco.
“A bruciare non è solo il bosco, ma il terreno sottostante, la torba, ‘che può ardere anche per diverse settimane. Contrariamente agli incendi di boschi che si registrano nelle zone temperate, quelli dell’Artico si propagano infatti anche al sottosuolo– afferma il glaciologo ed esperto di Artico Konrad Steffen–, dove si nutrono degli spessi strati di torba. Bruciando in profondità possono durare settimane o addirittura mesi, anziché poche ore o giorni come per la maggior parte degli incendi boschivi alle nostre latitudini. Tutto ciò innesca un circolo vizioso perché vengono rilasciate grandi quantità di CO2, quella generata dalla combustione degli alberi ma anche quella generata dalla torba, una delle più grandi riserve di carbonio organico del mondo. E la CO2 alimenta il riscaldamento”.
Il fumo poi, essendo composto da particolato carbonioso, fuliggine e residui della combustione, provoca un annerimento dei ghiacci artici, che in questo modo assorbono maggior radiazione solare accelerando ulteriormente la loro fusione.
Acqua di fusione e fumi da incendi: due fenomeni allarmanti causati da un riscaldamento che nell’Artico è molto più intenso e rapido rispetto alla media globale, amplificato anche da un numero impressionante di circoli viziosi come quelli descritti sopra.
* Stefano Agustoni è diplomato in geografia e climatologia presso l’Eth di Zurigo docente di scienze della Terra e di geografia ed ecologia del turismo presso la Scuola specializzata superiore del Turismo di Bellinzona – Svizzera