Il ragazzo lavorava 12 ore al giorno, senza ferie o giorni di riposo, veniva pagato meno di 2 euro all'ora e dormiva in una specie di container senza bagno e cucina
Lo faceva lavorare 12 ore al giorno, senza concedergli ferie o giorni di riposo, quando lo pagava lo pagava meno di 2 euro all’ora e lo faceva dormire in una specie di container senza bagno e cucina: al primo suppliva il pozzo degli animali e al secondo un fornello a gas. In pratica lo trattava come uno schiavo. Lo hanno fermato i carabinieri di Bari che hanno arrestato a Casamassima un pregiudicato 46enne per sfruttamento del lavoro e favoreggiamento all’immigrazione clandestina. L’uomo, titolare di un’impresa agricola e di un allevamento di ovini, pagava 1,80 euro l’ora un giovane pastore bengalese.
Il ragazzo, privo di permesso di soggiorno e senza fissa dimora, lavorava in media 11 ore al giorno. Il contratto collettivo nazionale, per le stesse mansioni, ne prevede al massimo 10: tra l’altro erano due mesi che il suo datore non lo pagava. Fin dalle prime luci dell’alba, usciva dalla masseria per condurre al pascolo un gregge di pecore, rientrando solo al tramonto. Era impiegato come autentico factotum, occupandosi di tutte le attività inerenti gli animali, ovvero mungitura, pulizia, pascolo. All’operaio non era riconosciuto il diritto del riposo o delle ferie, praticamente mai fruiti, e veniva impiegato senza aver mai conseguito la minima formazione sui rischi per la salute e sicurezza ai quali si espone il lavoratore per simili carichi, né era stato nemmeno sottoposto alla prescritta visita medica, finalizzata ad accertare le condizioni di salute in relazione all’incarico.
Al bengalese era riservato un alloggio fatiscente e in cattive condizioni igieniche, come certificato dai medici dell’Asl. Si trattava di un container, costruito assemblando le cabine di un camion, nel quale la cucina era costituita da un fornello alimentato da una bombola di gas, mentre per i servizi igienici si serviva di un pozzo, lo stesso utilizzato dagli animali per abbeverarsi. Il datore di lavoro aveva imposto le sue volontà, rifiutando qualsiasi aumento di stipendio e approfittando dello stato di difficoltà della vittima, costretta ad accettare qualsiasi condizione, pur di inviare quanto guadagnato a moglie e figli nel Paese di origine.
Inoltre all’imprenditore sono state contestate altre violazioni connesse quali: l’omessa formazione dei dipendenti sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro e mancata valutazione delle condizioni di salute in relazione all’impiego (artt. 18, 36, 37, d.lgs 81/2008); l’impiego di lavoratori subordinati in nero (art. 3 d.l. 12/2002), la violazione delle disposizioni per il contrasto del lavoro (art. 14 d.lgs 81/2008), e il divieto di assunzione di lavoratori privi di permesso di soggiorno (art. 12, 22 d.l. 298/1998)). Su disposizione della competente autorità giudiziaria, il 46enne è stato sottoposto agli arresti domiciliari. Contestualmente sono state elevate sanzioni amministrative ed ammende per quasi 60mila euro e la sospensione dell’attività produttiva.