Dalla nota della Lega che ufficializza la crisi sono passati quasi dieci giorni, eppure lo scacchiere politico italiano rischia ancora di ripartire dall'inizio: tra ipotesi d'alleanza tra dem e 5 stelle e tentativi del Carroccio di recuperare lo strappo. Parallele alle alchimie politiche ci sono poi le tappe e le scadenze. Come quella del 26 agosto: giorno in cui Bruxelles aspetta il nome individuato dall'Italia per fare da commissario europeo. Il futuro dell'esecutivo, in ogni caso, passerà dall'aula del Senato martedì 20 agosto
Se fosse il Monopoli, si potrebbe dire che la partita rischia di ripartire dal via. Ma quello che dura ormai da nove giorni non è il Monopoli. Si tratta, invece, della prima crisi di governo scatenata in pieno agosto nella storia della Repubblica. Per 73 lunghi anni l’estate politica degli italiani è stata occupata da governi balneari, rimpasti, polemiche e persino decreti salvaladri votati mentre Roberto Baggio segnava due gol alla Bulgaria a Usa ’94. Mai però un ministro dell’Interno aveva depositato una mozione di sfiducia per il suo stesso presidente del consiglio alla vigilia di ferragosto, senza avere i numeri in Parlamento per farla approvare. E soprattutto rimanendo comunque in carica senza accennare alle dimissioni. Una mossa a tratti inspiegabile quella di Matteo Salvini, che a nove giorni dalla deflagrazione della crisi di governo – da lui stesso provocata – ha tentato una mezza marcia indietro.
Salvini, la Lega, e l’inversione a U – Dopo la prima sconfitta in aula – quella di martedì 13 agosto – Salvini è rimasto in carica, il governo Lega-M5S esiste ancora, mentre all’orizzonte non c’è traccia della calendarizzazione della mozione di sfiducia contro Conte. Tre indizi fanno una prova dell’inversione a U del ministro. Lo stesso Salvini, d’altra parte, continua a chiamare “amici” i cinquestelle e Luigi Di Maio (“anche se lui non vuole, ma per me è così”) e a chi gli chiede se sia possibile continuare insieme dice: “Il mio telefono è sempre acceso e in queste ultime ore squilla parecchio“. Perché allora ha provocato la crisi? Lì riparte la filastrocca: “Questo governo si è fermato sui troppi no: Tav, Autonomia, riforma fiscale, giustizia”. Poi però aggiunge: “O c’è un governo con ministri del sì o un governo degli sconfitti non serve al Paese”. Un segnale che ai piani alti del Movimento interpretano come il primo, vero cenno di “resa” del “ministro del tradimento”, come lo chiama Alessandro Di Battista, dopo quello compiuto in aula sul taglio dei parlamentari. Subito dopo aver provocato la crisi, infatti, il leader del Carroccio aveva rifiutato la proposta di Di Maio che chiedeva di approvare subito la riforma costituzionale. Al Senato, però, ci ha ripensato offrendo il suo sostegno al tagliapoltrone in cambio di un veloce ritorno alle urne: ipotesi, quella delle elezioni, che appare sempre più difficile.
La porta chiusa dei 5 stelle tra Di Maio e Conte – Salvini, infatti, sembra ormai aver perso totalmente credibilità agli occhi dei 5 stelle. Anche per questo motivo il dialogo non sembra avere possibilità di riaprirsi. Dopo i primi giorni di smarrimento per una crisi che non attendeva, Di Maio ha cominciato ad attaccare duramente l’alleato. “Salvini ha fatto tutto da solo, per tornare dopo nemmeno 24 ore nelle braccia di Berlusconi. Ora è pentito, ma ormai la frittata è fatta. Ognuno è artefice del proprio destino. Buona fortuna”, è l’ultimo post del leader dei 5stelle. Anzi il penultimo: l’ultimo è quello scritto per smentire il ritorno al governo con la Lega. Fonti dem, infatti, avevano ipotizzato l’esistenza di un’offerta molto generosa da parte di Salvini: concedere a Di Maio la poltrona di presidente del Consiglio, visto che con Conte – dopo la lettera aperta di ieri – la frattura non sembra sanabile. In cambio il leader della Lega avrebbe chiesto un rimpasto dei ministri, lasciando numericamente lo stesso assetto attuale, ma con cambi ai ministeri della Difesa, delle Infrastrutture, dell’Economia e nuovo spacchettamento di Mise e Lavoro, tenendo per il suo partito quest’ultimo dicastero. Un’ipotesi completamente smentita sia da Di Maio che dal M5s.
L’ombra del governo con i dem – Nei giorni della crisi, il capo politico del m5s ha incassato l’appoggio di Beppe Grillo, tornato in campo con due post sul suo blog per schierarsi contro il ritorno alle urne. L’obiettivo adesso è “salvare l’Italia dai barbari”, cioè i leghisti. Il fondatore del Movimento, tra l’altro, non ha chiuso all’ipotesi di un’alleanza con il Pd, a patto che i grillini non vadano a trattare con Renzi, apostrofato come “sciacallo” e “avvoltoio“. L’ipotesi Pd-5 stelle è un po’ il finale che tutti si attendono dall’inizio della crisi: sia perché i dem e i grillini avevano cominciato a trattare già dopo il 4 marzo del 2018. Ma soprattutto perché tornare a votare ora conviene solo alla Lega: non al Pd, non ai 5 stelle e neanche a Forza Italia. Il Pd ha impiegato cinque giorni per schiarirsi le idee e passare dal “mai con i 5 stelle” di Nicola Zingaretti a “un contratto alla tedesca” con i 5 stelle di Graziano Delrio. In principio fu – a sopresa – lo stesso Renzi a parlare per primo di un governo di scopo per evitare l’aumento dell’Iva. Ipotesi prima rifiutata dal segretario e poi addirittura trasformata in un “governo di legislatura” da zingarettiani doc come Goffredo Bettini. Vuol dire che il Pd andrebbe al governo con i grillini fino al 2023, eleggendo anche il presidente della Repubblica. Ipotesi che piace molti dei big dem: da Maurizio Martina a Dario Franceschini passando da Graziano Delrio.
Zingaretti frena: “Prima deve cadere il governo attuale” – Per provare ad aprire un dialogo con i grillini, gli ufficiali di collegamento dem sono al lavoro da giorni, ma la trattativa non decolla: i 5 stelle non si fidano del ruolo troppo imponente di Renzi, che controlla i gruppi parlamentari e ha tentato di cavalcare la fake news dell’offerta di Salvini a Di Maio. Anche per questo motivo i grillini preferirebbero trattare solo con Zingaretti, il segretario che gestisce il partito. Il problema è che in aula votano deputati e senatori, che sono in schiacciante maggioranza renziana. Ed è lo stesso Renzi a definire “disertori” i democratici che si tireranno indietro da questa partita. Zingaretti, da parte sua, da un lato non chiude al “governo di legislatura”, dall’altra predica calma e cerca di recuperare lo spazio che l’ex premier cerca di sottrargli ogni giorno a livello mediatico: “Continuo a pensare che aprire dibattiti su Governi futuri prima che quello in carica cada sia un errore. Diciamo no a qualsiasi ipotesi di Governo pasticciato e di corto respiro. Solo nello sviluppo dell’eventuale crisi di Governo sotto la guida autorevole del Presidente Mattarella si potranno verificare, se esistono, le condizioni numeriche e politiche di un Governo diverso con una larga base parlamentare che nasca non a tutti i costi per la paura delle urne”. Insomma: sarà davanti a Mattarella che dovranno palesarsi nuovi esecutivi. Al momento, infatti, qualsiasi contrattazione appare difficile.
Tappe e scadenze, si riparte il 20 agosto – Parallele alle alchimie politiche, corrono poi le tappe e le scadenze della crisi. Il futuro del governo, in ogni caso, passerà dall’aula del Senato martedì 20 agosto. I tempi del chiarimento parlamentare sono sopratutto nelle mani di Conte. Dalle sue decisioni dipendono il timing e una dose maggiore di chiarezza sui possibili scenari di una crisi annunciata e che, da martedì, potrebbe essere formalizzata. Il 20 agosto l’aula risulta infatti convocata – come specifica in homepage il sito di palazzo Madama – per le “comunicazioni del presidente del Consiglio sulla crisi politica in atto“. Allo stato, oltre all’intervento di Conte, non sono quindi previsti l’esame e il voto sulla mozione di sfiducia depositata dalla Lega a palazzo Madama ma che, tuttavia, non figura all’ordine del giorno della seduta. Il canovaccio della crisi contempla l’opzione che Conte faccia il suo intervento, al termine del quale comunica all’assemblea che salirà al Quirinale per conferire con il presidente della Repubblica e dare la dimissioni.
Bruxelles aspetta l’Italia – In quel caso, però, si azzererebbe il seguito del calendario, così come è stato stabilito. Il 21 agosto Conte non andrebbe più alla Camera, dove è atteso alle 11 e 30. Montecitorio, di conseguenza, non discuterebbe e non voterebbe la modifica della Costituzione che taglia 345 parlamentari, prevista per il 22 agosto. Cioè il voto sul quale Salvini ha tentato di riavvicinarsi ai 5 stelle. “A differenza del Pd, la Lega ha già votato e voterà ancora per il taglio dei parlamentari. Bene il risparmio di mezzo miliardo di euro per gli Italiani”, ha rilanciato fino a poche ore fa. Ma con le dimissioni di Conte, inizieranno le consultazioni. Per questo motivo il 21 agosto è stata convocata la direzione del Pd, chiamata a fare chiarezza sull’ipotesi di una nuova maggioranza con M5S e Leu. E dovrà farlo in fretta, visto che entro il 26 agosto il governo dovrà trasmettere a Bruxelles il nome del commissario europeo designato dall’Italia: una poltrona fondamentale per creare nuove maggioranze. Ma anche per restaurarne di vecchie. L’agosto politicamente più folle della storia italiana non è ancora finito.