Dov’era il cattolicesimo italiano alle ultime elezioni europee? Non c’è dubbio che le varie associazioni abbiano avuto le loro posizioni favorevoli all’Europa. Ma non erano visibili.
Chi si faceva sentire sui social media, su giornali e televisioni e nell’immaginario di massa, era il leader del fronte sovranista. Agitando rosari e invocando la madonna: segnali calcolati e ben riconoscibili da un’area clerico-tradizionalista scivolata nel nazionalismo e nella xenofobia più o meno aperta.
La domanda sul ruolo o non-ruolo delle forze cattoliche si ripropone oggi nell’esplodere di una crisi imprevedibile, ma di cui si può dire con certezza che le future elezioni avranno il carattere cruciale che ebbero le consultazioni del 1948. O di là o di qua. Allora si trattava di scegliere tra campo sovietico o campo occidentale. E gli elettori italiani scelsero l’Occidente.
Oggi la scelta è altrettanto radicale e profonda. Il sovranismo di Salvini significa scardinare il processo di integrazione europea, scardinare la coesione sociale e nazionale della Repubblica italiana permettendo la secessione economica delle regioni ricche, significa uno stravolgimento continuo della costituzione attraverso l’attacco quotidiano alla divisione dei poteri e alle agenzie indipendenti. Significa infine spingere ancor più l’Italia verso una xenofobia ossessiva e, sul piano internazionale, verso una posizione di rifiuto di una politica multilaterale di composizione degli interessi globali.
Alle Europee il 30 per cento dei cattolici praticanti e il 40 per cento dei fedeli che vanno saltuariamente a messa hanno votato per la Lega. Di fatto due terzi dei cattolici italiani non si identificano con la strategia di Salvini. La questione è che cosa faranno davanti al bivio storico in cui si trova l’Italia.
Nella società civile italiana, di fronte alla desertificazione della funzione di partecipazione un tempo svolta dai partiti e dal sindacalismo, le associazioni cattoliche (da Sant’Egidio a Comunione e liberazione dalle Acli all’Azione cattolica, ai Focolarini, alla Caritas e a tante altre realtà) rappresentano tuttora – benché ridotte numericamente rispetto al secolo scorso – una vitalità di impegno, coinvolgimento e solidarietà, che sostiene il Paese anche quando lavorano sottotraccia. Al di là delle sigle storiche conosciute esiste tutto un tessuto locale di micro-iniziative, che innervano il corpo della nazione. Forse l’unico momento in cui questa realtà sommersa apparve pienamente in pubblico fu durante l’immensa manifestazione (tre milioni di partecipanti) del 2003 contro la guerra di Bush all’Iraq, quando per le strade di Roma – sotto la spinta dell’energica predicazione di pace di Giovanni Paolo II – si videro per otto ore, accanto alle insegne più note, una miriade di cartelli che indicavano gruppi, confraternite, associazioni, comunità, iniziative cattoliche totalmente sconosciute a livello nazionale, ma arterie pulsanti dell’Italia delle cento città e delle mille storie di paese.
La domanda allora è se queste forze, ognuna concentrata sul suo orto, alle prossime elezioni politiche si lasceranno condurre come pecore al macello o se troveranno il modo per fare “massa” e portare sulla scena i propri valori e progetti, la propria visione etica della convivenza civile. Il cattolicesimo italiano, insieme alle forze liberaldemocratiche e di impronta socialista, è stato artefice della Costituzione repubblicana, ha propugnato un’economia sociale di mercato (non il liberismo di rapina!), ha costruito unitamente ad altre forze ideali lo stato sociale pur con le sue imperfezioni, è stato il deciso propulsore del processo di costruzione europea. Difficile pensare che un cattolicesimo democratico e sociale, con un passato così vitale, possa assistere silente e passivo al ribaltamento della storia repubblicana (contrassegnato in Salvini anche dall’evidente disprezzo per la discriminante antifascista) e al ripudio del progetto di unione europea di De Gasperi, Adenauer e Schuman.
La via di un ritorno ad un polo politico cattolico è già naufragata al passaggio di millennio. I vari convegni di Todi si sono rivelati illusori. Egualmente di corto respiro si sono rivelati i tentativi dell’allora presidente della Cei Ruini e dell’ex segretario di Stato vaticano Sodano di arruolare leader politici di destra (Berlusconi e Fini) per ridare un’impronta legislativa cattolica al Paese. Non di questo si tratta. Conta la capacità di rappresentare dei valori. Negli ultimi tempi si è affacciato più volte il progetto di un Sinodo della Chiesa italiana. Un progetto troppo vago e in ultima analisi ancora a trazione gerarchica.
Ciò che potrebbe ridare voce al cattolicesimo democratico e sociale ancora radicato in Italia è piuttosto un coordinamento del laicato e dell’associazionismo cattolico che – a somiglianza del ZDK, il coordinamento dei cattolici in Germania – sarebbe in grado di portare collettivamente le istanze di valori e di concrete esigenze etiche sociali sulla scena pubblica (e al contempo prendere anche posizione sulle riforme ecclesiali).
La gerarchia ecclesiastica italiana ha sempre avuto paura di una rappresentanza autonoma dei fedeli italiani e delle loro associazioni. Ma i tempi mutano e l’ora è grave. Non basta che i valori di etica sociale, religiosa e umanistica, vengano espressi solo da papa Francesco, dal cardinal Bassetti, da padre Spadaro, Avvenire, Civiltà cattolica o Famiglia cristiana se le forze dell’associazionismo bianco rimarranno frammentate e, al di là di qualche dichiarazione, inerti.
O in questo momento storico il cattolicesimo solidale in Italia si fa “Rete” attivamente presente oppure il darwinismo sociale e politico dei sovranisti rischia di prendere il sopravvento.