Caro Direttore,
Le scrivo in riferimento all’articolo pubblicato sulla vostra edizione online, intitolato “Farnesina, impiegata a Los Angeles e figlio a Firenze. A separarli la diplomazia dei timbri”.
L’articolo mi chiama in causa con un velato intento di far emergere un mio disinteresse verso il caso, nonostante me ne fossi occupato in veste di semplice deputato nella scorsa legislatura.
Desidero assicurarvi, invece, che il mio personale e fattivo interessamento, insieme ai competenti uffici della Farnesina, è stato pieno fin da subito. Purtroppo però il caso non è di facile soluzione mancando i requisiti previsti dalla legge per il rilascio del passaporto di servizio. Ciò è stato confermato dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3771/2019 del 5.6.2019, che ha definitivamente riconosciuto la piena legittimità dell’interpretazione e dell’operato del Ministero degli Affari Esteri nel caso specifico. Non una nostra scelta quindi, ma un obbligo giuridico.
Non volendoci confinare negli steccati imposti dal diritto in un caso così delicato, e volendo trovare una soluzione che consentisse all’interessato di stare negli USA con la madre, era stata comunque tentata dalla nostra Ambasciata a Washington la richiesta di rinnovo del visto alle autorità locali.
Tuttavia, in data 17 dicembre 2018, le autorità statunitensi comunicavano il diniego del visto, motivandolo con la considerazione che gli elementi forniti dagli interessati non fossero sufficienti a far ritenere il ragazzo come appartenente al nucleo familiare e a carico.
L’esito negativo della richiesta di rilascio di visto veniva quindi comunicato il 21 dicembre direttamente alla dipendente, alla quale veniva anche fatto presente per le vie brevi, come segnalato dalle autorità statunitensi, che il figlio avrebbe potuto presentare domanda per un tipo di visto differente o lasciare il territorio USA entro il 16 gennaio 2019.
Ciononostante, non risulta sia mai stata presentata, per quanto a conoscenza mia e dell’Amministrazione, domanda per un visto differente.
Le scrivo tutto ciò, caro direttore, con puro spirito collaborativo e col fine di dare ai suoi lettori tutti gli elementi oggettivi di questa storia che, ci addolora, ma non dipende in alcun modo né da me né dalla Farnesina.
Resto a disposizione.
Manlio Di Stefano
Risponde l’autore
il suo intervento all’epoca in cui era deputato è stato ampiamente citato e la sua sensibilità al caso non è in discussione; proprio per questo i protagonisti, una volta nominato sottosegretario, nutrivano forti aspettative rispetto al ricongiungimento. Purtroppo, come lei ben sottolinea, il loro è un caso limite di norme generali che non tutelano situazioni specifiche ed urgenti, neppure – scrive la dipendente della Farnesina – “quando è a repentaglio l’unità morale, personale ed economica della nostra famiglia, dopo anni di onorato servizio allo Stato italiano in ogni incarico a me conferito”.