“Stavolta perdo io”. Eddy Merckx, il suo più grande rivale, si dichiara sconfitto, sopraffatto dal dolore per la scomparsa di Felice Gimondi. Il Cannibale, che senza l’avversario più ostico sarebbe stato ancora più il tiranno della sua epoca, cede all’emozione dichiarandosi spogliato di qualcosa che gli apparteneva. “Con lui se ne va una fetta della mia vita. Un uomo come Gimondi non nasce tutti i giorni”, ha detto il campione belga.

Felice Gimondi era nato il 29 settembre del 1942 e quando nel 1965, a nemmeno 23 anni, vinse il Tour de France mio nonno aveva 43 anni, mio padre 15. I loro racconti mi sono rimasti dentro, insinuati sotto la pelle e per questo circolanti, vivi e reali come se quei momenti li avessi vissuti anche io. Se la passione per uno sport si tramanda, possiede quella forza di legarti a un campione, anche se di un’altra epoca, perché quel campione diventa il tramite con le emozioni provate dai tuoi cari. Diventa tuo. Far nascere e custodire un ricordo appassionato e magari trasmetterlo è la dote che il ciclismo racchiude in sé e lo fa diventare popolare, senza tempo.

Così posso pensare che, come per Merckx, per mio padre sia volata via una fetta di vita. Fatta di ore di ascolto alla radio mentre con suo padre faticava in campagna. L’attesa della sera per gustarsi qualche immagine televisiva prima di andare a letto e poi i titoli dei giornali con le classifiche da spulciare il giorno seguente. Quell’astro nascente venuto da Sedrina, in provincia di Bergamo, fece suoi il Tour del 1965, il Giro del 1967 e la Vuelta del 1968 ma subito dopo la sua luce fu offuscata da un astro ancora più luminoso, abbagliante.

Eddy Merckx non ha bisogno di presentazioni e chi sa di ciclismo conosce anche il rispetto che nutriva nei confronti del suo avversario italiano, spesso battuto ma così vicino al punto da diventarci amico. Il dominatore senza quel rivale avrebbe vinto ancora di più ma forse le vittorie avrebbero avuto un valore minore. Di questo Merckx ne era consapevole e per questo la loro rivalità ha fatto bene al ciclismo e a loro stessi.

Intelligenti e per questo consapevoli di essere due grandissimi fra i grandi, di essere il ciclismo. Ora Merckx sa che dovrà pedalare da solo, e da solo dovrà portare il peso dei ricordi più alti di questo sport perché era impossibile che in un’intervista all’uno non si finisse a parlare dell’altro. “Quello lì” lo chiamava affettuosamente Gimondi che dopo la squalifica di Merckx al Giro del 1969 si rifiutò di indossare la Maglia Rosa. Rispetto massimo quando battagliavano e amicizia vera dopo.

Due signori dimostratisi tali negli anni, per questo Felice Gimondi mancherà anche come uomo, gentile, educato e soprattutto umile. Questo l’ho visto con i miei occhi che ora scrutano lucidi il mare di Sicilia, lo stesso che ha ascoltato l’ultimo battito del grande cuore di un campione indimenticabile.

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