Il messaggio a Matteo Salvini viene direttamente dall’America: fai l’uomo nero, il duro che vince con le politiche anti-immigrazione? Alla lunga non paga. Anzi, come sta già accadendo a Trump, finisce per provocare una contro-reazione uguale e contraria.

Qualunque cosa accada, in questa confusa fase della politica italiana (elezioni a ottobre, rimpasto del governo giallo-verde con futura trazione leghista, nuova maggioranza-inciucio tra M5S-Pd-Leu) il leader della Lega dovrebbe aver capito che sparare a zero contro le ong fa raccogliere consensi nel breve termine (sì, il raddoppio dei voti…) ma in verità è come un fuoco di paglia, alimentato da impulsi e paure effimere, destinati poi a placarsi. Se n’è accorto il sovranista, razzista e suprematista per antonomasia, The Donald. Lui ha già fatto immensi danni negli States, ha spaccato la democrazia americana, dopo aver terremotato la politica e la società, con palate di odio quotidiano contro i migranti e i non-bianchi.

Si tratta di impressioni? No, varie notizie confermano sul campo la teoria del boomerang. Fatti, non parole. Negli Stati Uniti i dipendenti di molte grandi aziende, tra cui Google e Whole Foods, si stanno ribellando in massa contro capi e amministratori che accettano commesse e incarichi di lavoro da agenzie governative Usa. Motivo: applicano le politiche anti-migranti dell’amministrazione Trump.

E’ un segnale importante perché il dibattito sull’immigrazione è diventato talmente polarizzante, con alla Casa Bianca l’ignorante e rozzo Trump, che nessuno aveva previsto un simile effetto collaterale. Le grandi aziende si trovano ora a dover fare i conti con l’altra oscillazione del pendolo, in senso inverso, in conflitto con i propri dipendenti. Che non vogliono essere coinvolti a nessun livello nel procedimento di applicazione di leggi disumane se non proprio fasciste (in Italia il decreto Sicurezza bis, non degno di un paese occidentale).

Nel dettaglio, qualche centinaio di lavoratori di Google hanno diffuso mercoledì una petizione chiedendo al colosso web di Mountain View di impegnarsi pubblicamente a NON sostenere le agenzie governative degli Stati Uniti che applicano procedure ritenute equivalenti a “violazioni dei diritti umani”. La petizione chiede a Google di non fornire “infrastrutture, finanziamenti o risorse tecniche”, che direttamente o indirettamente servano ad assicurare la protezione delle dogane Usa e delle frontiere. Sono menzionate tutte, le sigle che fungono da braccio armato di Trump: CBP – Customs and Border Protection, che cerca un appaltatore per fornire servizi di cloud computing; l’ICE – Immigration and Customs Enforcement; e l’ORR – Office of Refugee Resettlement. Una richiesta simile è venuta dai dipendenti della catena di supermercati Whole Foods, vorrebbero che Amazon, holding di Jeff Bezos – l’uomo più ricco del mondo – sciolga gli stretti legami con Palantir, a cui l’amministrazione Trump ha dato, e vuole dare, vari appalti milionari per conto dell’ICE. Palantir è controllata dal miliardario Peter Thiel, trumpiano di ferro.

Le ramificazioni del boomerang che torna su chi spara contro i migranti sono ancora più vaste. A giugno, i lavoratori della Wayfair hanno protestato contro la vendita di mobili dell’azienda ad un campo di detenzione per immigrati. Ogilvy, uno dei colossi mondiali della comunicazione e della pubblicità, è stata costretta a far fronte alla rabbia dei propri dipendenti in una riunione in cui si discuteva un contratto multimilionario con la CBP. Insomma, anche le aziende lontane dall’ambiente politico sono sotto tiro per legami con un governo che applica leggi disumane (Trump è sotto accusa per i campi di detenzione, per la separazione dei bambini dalle madri, le gabbie, la brutalità da schiavisti con cui sono trattati decine di migliaia di immigrati e rifugiati onesti e pronti a lavorare).

La tensione tra dipendenti e aziende ha spaventato anche gli investitori, le proteste provocano cali dei titoli in borsa (come è accaduto per Wayfair). Al contrario, pratiche positive e di buona governance cominciano a farsi strada. Più che mai, c’è una forte pressione sulle società e sui loro manager perché non facciano i codardi nelle grandi battaglie sociali a cui clienti e dipendenti tengono. Ad esempio diverse banche – tra cui Bank of America, J.P. Morgan Chase, Wells Fargo e SunTrust – hanno dichiarato che non faranno più prestiti ad aziende che gestiscono centri di detenzione per immigrati.

Non è che l’inizio. I primi segni si coglieranno presto anche in Italia, laboratorio europeo del sovranismo suprematista. E le difficoltà in cui si trova in questi giorni il Capitano, costretto a ripetere i suoi clichè sui porti chiusi, lo confermano. Chissà se il team della “Bestia”, il guru di Salvini Luca Morisi, Andrea Paganella e il gruppo di ragazzi che ogni giorno influenzano i social con la propaganda verde anti-ong, se ne accorgerà e comincerà a fare marcia indietro.

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