Le ultime settimane sono state segnate da nuovi sintomi dell’emergenza climatica: 10 miliardi di alberi e un’area grande quanto il Portogallo sono andati a fuoco in Siberia, mentre in India un’ondata di caldo eccezionale ha lasciato sul terreno oltre 1700 morti. E anche il nostro paese, seppure protetto da condizioni meteorologiche normalmente moderate, ha avuto i suoi eventi tragici, come la tromba d’aria che ha ucciso una giovane a Fiumicino, o la grandinata da record a Pescara.
Questi fenomeni non sono frutto dei capricci del caso, ma hanno un responsabile con nome e cognome: riscaldamento globale. Secoli di emissioni climalteranti hanno portato il pianeta sull’orlo del collasso, e se qualcuno pensa ancora tutto questo sia un problema solo per panda e pinguini si sbaglia di grosso. L’ultimo rapporto dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) pubblicato solo pochi giorni fa mette in fila dati e previsioni spietate: il global warming porterà con sé – come già sta iniziando a fare – eventi meteorologici estremi, desertificazione e innalzamento del livello dei mari, che si tradurranno in morti, enormi danni economici e migrazioni bibliche.
Dopo decenni di sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica gli effetti del cambiamento climatico hanno portato sempre più persone a mobilitarsi: milioni di giovani in tutto il mondo sono scesi in piazza con gli hastag #fridaysforfuture e #schoolstrikeforclimate, mentre Londra è stata paralizzata per settimane dagli attivisti di Exctinction Rebellion. E anche negli ultimi giorni sono arrivati segnali importanti, come la notizia del cantiere navale di Belfast occupato dagli operai che chiedono nazionalizzazione e riconversione ecologica.
Alla finestra è rimasta però la politica. Mentre nel mondo salgono al potere leader apertamente negazionisti come Trump e Bolsonaro, da una nostra analisi meno dell’1% dei tweet dell’ultimo mese dei tre principali leader del nostro Paese (Salvini, Di Maio, Zingaretti) sono stati dedicati all’emergenza clima, e i giornali non hanno spazio che per la crisi di governo.
Ma se, come ci dice la scienza, ci restano solo 11 anni per provare a invertire la rotta, non possiamo che rabbrividire di fronte all’ipotesi di altri anni persi dietro a governi “tecnici”, “di scopo”, “a tempo”. Il governo che serve alle persone, l’unico governo possibile è sì il governo del cambiamento, ma climatico.
Il nostro è un appello a tutte quelle forze che ci hanno applaudito quando abbiamo occupato le piazze di tutta Italia, a tutti coloro che – trasversalmente – credono il clima sia un problema da affrontare. Avete l’occasione di passare dalle parole ai fatti, di mostrare il vostro impegno verso i giovani, i più deboli, la vostra terra.
Serve un governo che dichiari l’emergenza climatica, che tagli gli incentivi al fossile, che blocchi i nuovi investimenti sulle risorse climalteranti, che realizzi un grande piano per l’efficentamento energetico e le rinnovabili, che rispetti gli accordi di Parigi e vada anche oltre, seguendo le indicazioni che vengono dalla comunità scientifica.
E attenzione a non pensare che occuparsi di clima significhi tralasciare lavoro, democrazia, sanità. Un cambio radicale del sistema produttivo, delle abitazioni, delle città in senso green sarebbe un volano formidabile per l’occupazione; la riconversione delle aziende climalteranti coincide quasi sempre con l’eliminazione di impianti inquinanti e pericolosi per la salute dei cittadini; fronteggiare la crisi climatica significa per la prima volta ascoltare i milioni di giovani preoccupati per il proprio futuro.
Ci sono le condizioni politiche? Probabilmente no, nessuno degli attori in campo ha dimostrato la volontà necessaria, e forse il nostro appello sarà un urlo ad un sordo.
Ma abbiamo troppo poco tempo e troppo bisogno di lottare per non fare questo tentativo, e sparare fino all’ultima cartuccia che abbiamo a disposizione.
Cari politici, realizzate il governo del cambiamento climatico, e dimostrateci di essere migliori di quello che siete stati fin’ora.