Musica

Notte della Taranta, Davide Bombana a FqMagazine: “Così ho unito pizzica, danza classica, orchestra e rap”

di Simona Griggio

La danzatrice si muove senza controllo sul crescendo potente delle percussioni, sembra sfinita e sul punto di cadere. Il canto di ringraziamento a Santu Paulu, il santo che libera le donne dalla possessione, comincia così. Dalle coreografie del Capodanno di Vienna, leggere e raffinate, alla taranta salentina, viscerale e terrena, il passo è tutt’altro che scontato. Ma Davide Bombana, coreografo internazionale che ha creato per i corpi di ballo più prestigiosi d’Europa, non è nuovo a esperienze di contaminazione.

Aveva già esplorato il mondo del rock nelle coreografie del video di Vasco con Eleonora Abbagnato. Ora incontra la pizzica del Salento invitando ballerini classici a unirsi ai ballerini popolari nelle danze del Concertone. La serata, che chiude il 24 agosto il festival di MelpignanoLa Notte della Taranta”, accoglie fra le star del balletto i pugliesi Gabriele Corrado, del Teatro alla Scala di Milano, Elena Marzano del Balletto di Montecarlo, Luigi Campa, danzatore internazionale. Ma non è tutto. Sul palco in alcuni brani ci saranno anche i cantanti Elisa e Salif Keita, i rapper Gué Pequeno ed Enzo Avitabile, i musicisti Alessandro Quarta e Maurizio Colonna.

Come si uniscono mondi così diversi?
Cercando un dialogo fra l’anima popolare, legata al mondo rurale in cui è nata la pizzica, e l’anima della danza classica. Un dialogo che si ripropone anche nella musica grazie alla presenza di due orchestre, quella popolare e quella sinfonica diretta da Fabio Mastrangelo.

Che cosa l’affascina di questa antica tradizione popolare?
Sensualità, abbandono, sfida, liberazione, istinto. Sono danze febbrili e istintive. Nella tradizione popolare si riteneva che la taranta fosse collegata a una patologia causata dal morso dei ragni. Al movimento incessante, accompagnato da percussioni e voce, era attribuito un potere liberatorio, espressivo in realtà di una dimensione femminile tanto potente quanto sconosciuta.

Anche la pizzica è danza di liberazione?
Secondo la leggenda era inizialmente una danza di accoppiamento senza contatto, tutta giocata sullo sguardo. Ma esiste anche l’altro aspetto della pizzica, quello curativo di stati di alterazione psicologica, in alcuni casi ritenuti di possessione tanto da richiedere riti di esorcismo. Le donne erano le più colpite. Si può pensare oggi che fossero espressione di traumi difficili da confessare. Come una violenza fisica.

Come ha reso tutto questo in scena?
Ho cercato di esprimere i vari aspetti della tradizione della taranta e di scavare in ciò che oggi ha ancora valore di attualità. In alcuni brani, come nell’assolo Pecuraru interpretato da Gabriele Corrado, la danza è descrittiva. Racconta la storia di un pastore che, lacerato dal sospetto del tradimento della moglie con il proprietario terriero, pensa di sfigurarla con un rasoio. Il finale è il monito del rapper Enzo Avitabile a non ripetere mai più atti di violenza contro le donne.

Che cosa racconta oggi la taranta sul ruolo delle donne?
Il senso di costrizione che vivevano, nella vita e nel lavoro quotidiano, in un contesto rurale che le rendeva soggiogate. Nel pezzo Senza camisa, per esempio, le voci femminili s’intrecciano come in un canto polifonico. Sono donne che trasportano secchi pesanti, vivono la fatica quotidiana del lavoro nelle campagne. Ma la pizzica è anche gioia e abbandono a un ritmo.

Che ruolo hanno i maschi nella taranta?
Il vocabolario è terreno. Le canzoni sono molto forti. Gli uomini hanno una gestualità virile e di conquista. In Fuecu metto in scena un duello, la sfida fra due uomini che si affrontano per una donna.

Dalle coreografie per Vasco al Capodanno di Vienna, dove ha fatto danzare una coppia a piedi nudi sulle immagini del Bacio di Klimt: le piace osare?
Ho curato le coreografie del Concerto di Vienna per tre edizioni, l’ultima un anno fa. Da subito ho cercato di rendere più attuali e contemporanee le coreografie. In alcuni casi ho creato delle piccole storie, come quella di una coppia di giovani che, entrando in visita al castello del Belvedere, immaginano di essere personaggi del passato. Mi è piaciuto anche trasferire ironia, attraverso giochi di gelosia o elementi inusuali al rigore viennese, quando il tema del Concerto era il mondo universitario.

Proprio l’Austria le ha da poco attribuito un premio alla coreografia, segno che il suo lavoro è stato apprezzato
Ho ricevuto il premio nazionale austriaco Teatro Musica 2019 per il Romeo e Giulietta su musiche di Berlioz per il corpo di ballo dell’Opera di Vienna. Ho lavorato molto, dopo l’ingresso nel corpo di ballo scaligero, nei paesi di lingua tedesca. Sono stato molti anni al teatro dell’Opera di Baviera, prima come ballerino e poi come coreografo. Sono cresciuto molto come artista sia in Austria che in Germania. Ora sono un free lance. Aveva da poco debuttato il mio Carmina Burana di Orff a Bucarest quando è arrivata la proposta dal festival di Melpignano.

Alcuni ballerini invitati li ha conosciuti ancora in erba?
Quasi tutti. E oggi rappresentano alcune delle eccellenze nazionali e internazionali. Fra di loro ci sono anche artisti del Balletto di Toscana e del teatro Massimo di Palermo che ho conosciuto quando ancora studiavano. E sono tutti entusiasti di danzare una delle nostre tradizioni popolari.

Cosa manca oggi alla danza classica in Italia?
Oggi non ha più senso intendere la danza classica solo come Lago dei Cigni o Romeo e Giulietta. Io stesso ho scelto nella mia carriera di mettere in scena titoli diversi, da Medea con Eleonora Abbagnato a Pentesilea con Luciana Savignano, dal Faust di Goethe a Teorema di Pasolini, dalle Relazioni pericolose di Choderlos De Laclos a Ipnos, per l’Accademia della Scala su percussioni indiane. Non mancano le idee in Italia nell’ambito della danza. Come dimostra questo progetto sulla taranta. Mancano se mai delle politiche culturali a sostegno e più attenzione da parte del mondo televisivo.

Non trova che ci sia un certo snobismo da parte del mondo teatrale nei confronti del mezzo televisivo?
Nel teatro ci vogliono anni di duro lavoro per farsi conoscere dal pubblico. In tv bastano pochi minuti. Non si tratta di snobismo ma di cammini diversi, cultura e intrattenimento. Per quanto riguarda me, la passione per il mio lavoro e la qualità restano invariati in ogni contesto.

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