La morte di Simon Gautier, l’escursionista francese disperso nel Cilento, mi ha addolorato moltissimo. Non so perché, ma da quando ho letto della sua scomparsa, ho seguito le notizie successive con la speranza nel cuore, fino purtroppo ad apprendere quella tragica della morte. Me lo ero immaginato da solo, probabilmente senza riferimenti, lontano da un centro abitato, quasi certamente assalito dalla paura. E’ una situazione che mi è capitato di vivere parecchie volte in quasi cinquant’anni di frequentazione dell’ambiente montano, così come mi è capitato purtroppo di trovarmi di fronte a morti improvvise di amici e conoscenti, magari neanche per imperizia, ma solo per fatalità.
La morte di Simon si va ad aggiungere alla terribile sequenza di morti nella natura, soprattutto in montagna, quest’anno, specialmente sull’arco alpino. Da un lato non deve stupire: aumenta il numero dei frequentatori in ogni stagione; aumenta soprattutto il numero di attività che si svolgono in montagna (dall’alpinismo, all’arrampicata, dall’escursionismo al torrentismo, dal base jumping al parapendio, ed altre ancora); talvolta la gente che si avvicina alla montagna non è sufficientemente preparata o attrezzata per affrontarla.
Del resto, i numeri del soccorso alpino sono eloquenti: nel 2018 ci sono state ben 9.554 missioni di soccorso di cui il 73% svolte in territorio montano e impervio. L’11% di queste è dedicato alla ricerca di persone scomparse e un 9% che ha interessato le richieste di soccorso nei comprensori sciistici. Nel 2017 il numero di soccorsi di era fermato a 9.059 missioni di soccorso, per la prima volta oltre quota novemila.
Quel che è certo è che, comunque, per quanto chi affronta la montagna o comunque un ambiente selvaggio sia preparato ed adeguatamente attrezzato, può capitare, come dicevo, la fatalità, l’imprevisto. La natura non è maligna o assassina, questi sono aggettivi stupidi che noi le riserviamo. Lei è semplicemente lì, ed occorre accettarne le leggi se ci vogliamo addentrare in essa, anche se magari queste leggi ci risultano incomprensibili. Anzi, con i cambiamenti climatici i margini di imprevisto saranno sempre più frequenti. Qualche esempio fra i tanti. La progressiva scomparsa del permafrost in alta montagna che fa sì che le rocce non siano più salde e le frane siano più frequenti. Oppure le bombe d’acqua che possono investire i torrentisti. O le cascate di ghiaccio che sono sempre più infide per via delle temperature anomale.
Ma torniamo a Simon Gautier. In teoria, da ciò che si comprende, il terreno su cui si era addentrato non era particolarmente insidioso. Al telefono disse che stava percorrendo un sentiero e poi si era perso. Questo elemento aggiunge un’altra considerazione a quelle di cui sopra. Non sappiamo se il sentiero fosse o meno segnalato, ma quello che si può dire è che in generale la rete sentieristica italiana in molte zone soffre di approssimazione e di mancanza di manutenzione. La colpa risiede sicuramente nella scarsa sensibilità delle amministrazioni locali che non vedono l’escursionismo o il trekking come una risorsa anche economica, ma anche (e a tendere il problema si amplificherà) nel fatto che la cura dei sentieri è rimessa al volontariato (CAI, FIE, ed altri sodalizi locali), e perciò non c’è nessuna garanzia per il futuro, anzi…
Un ultimo, umilissimo consiglio. Quando appunto Simon fece la telefonata non solo si era già perso, ma si era anche già fatto male agli arti inferiori. Sarebbe buona norma quando ci si perde rimanere fermi e attendere l’arrivo dei soccorsi, anche se la tentazione di togliersi dai pasticci immediatamente è forte. Continuare a camminare, come nel caso, può addirittura rivelarsi fatale.