Quem Iuppiter vult perdere dementat prius. “Giove toglie prima il senno a colui ch’egli vuol mandare in rovina”. Questo è quello che è capitato a Salvini dando il via a quella che ormai all’unisono tutti definiscono “la crisi più pazza del mondo”. Mentre i politologi si affannano a dissertare su quale sarà il prossimo governo – semmai ci sarà un governo – c’è chi ha già individuato tutte le caratteristiche di un nuovo disturbo della personalità: la “renzite acuta”.
Trattasi di una manifestazione delirante e in parte ossessiva che si manifesta in alcuni leader politici dopo un successo elettorale. A quanto pare le elezioni europee sono quelle che nell’ultimo periodo hanno determinato i casi più importanti di “renzite acuta”.
I primi sintomi si sono manifestati in Silvio Berlusconi dopo la vittoria elettorale del ‘94. Il caso più eclatante, da cui ha preso il nome la “renzite acuta”, si è manifestato col delirio di Matteo Renzi all’indomani delle elezioni europee del 2014, da cui è iniziato il declino del più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia (dopo Benito Mussolini) e leader del Pd, che del suo predecessore sembrava volere seguire le orme.
Manco a farlo apposta, 5 anni dopo, la stessa sindrome ha colpito Matteo Salvini, che del capo del fascismo ha cercato pure goffamente di imitare la postura.
Ed è così che fra qualche cocktail di troppo in discoteca e le scorrazzate nella moto d’acqua della Polizia di Stato del figlio di Salvini, sebbene intonando in modo solenne l’inno di Mameli, quanto verificatosi a Milano Marittima e al Papeete Beach hanno messo a nudo (più di quanto non lo fosse per le circostanze) tutti i limiti di un leader politico che in un colpo solo ha dimostrato agli italiani di non essere all’altezza di fare il ministro dell’Interno e probabilmente nemmeno il padre. A seguire ha bruciato pure l’immagine che si era dato di leader politico con l’annuncio della crisi di governo alla vigilia di Ferragosto, senza nemmeno consultare i suoi.
Ubriacato dai ripetuti successi elettorali delle Regionali e delle Europee, oltre che dai sondaggi che lo vedevano in continua ascesa, con quest’ultima genialata Matteo Salvini si è finito per scavare la fossa in tutta fretta, vi si è disteso dentro, si è tirato sopra la lapide e in un ultimo sussulto ha avuto la forza, con tutte e due le mani, di piantarsi la croce sulla sua tomba (politica).
A mia memoria nessuno è stato più bravo di Salvini nel distruggere in così poco tempo la propria reputazione politica, posto che Renzi col referendum costituzionale del 2016 ha impiegato più tempo e per farlo ha chiesto aiuto a Lotti e alla Boschi, che nell’occasione hanno dato come sempre il meglio di loro; mentre Salvini – bisogna ammetterlo – ha fatto tutto da solo, senza nemmeno consultare i colleghi di partito delle sue improvvisate iniziative nella canicola di agosto.
L’occasione della crisi di governo, con la conferenza stampa dell’8 agosto e le successive lettere a Salvini dei giorni successivi, ha portato alla ribalta la figura inedita di un presidente del Consiglio che era rimasto nell’ombra dall’inizio del suo mandato, lasciando la scena ai due vicepresidenti del Consiglio.
Gli interventi di Conte dei giorni scorsi – come sono sicuro lo sarà quello di oggi pomeriggio al Senato – hanno fatto emergere la figura di un’autentica persona per bene della quale gli stessi partiti di maggioranza e i loro leader hanno fatto di tutto in oltre un anno di governo per nasconderne agli italiani le autentiche qualità di statista, che persino i capi di Stato stranieri avevano apprezzato e gli avevano riconosciuto sin dal suo insediamento, dopo averlo incontrato e conosciuto in occasione degli svariati vertici internazionali.
Non so quale sarà l’esito della crisi di governo e se si riuscirà a formare una nuova maggioranza. Qualunque essa sia il mio auspicio – e in questo penso di non essere da solo – è che Giuseppe Conte possa guidare il prossimo esecutivo.
Indipendentemente da quelle che saranno le coalizioni che potranno sostenerlo, voglio pure augurarmi che Giuseppe Conte abbia fatto tesoro della sua esperienza e sappia affermare nel prossimo esecutivo la propria personalità e le proprie qualità di autentico statista sui leader e sulle coalizioni dei partiti che lo sosterranno, come purtroppo ha fatto solo troppo tardi con Salvini nello scorcio del suo mandato e come probabilmente avrebbe dovuto fare anche prima con Di Maio, nel governo che oggi volgerà a termine. Il tutto – mi auguro – caro Professore, al netto dei Casalino e dei Casaleggio, ai quali non mi risulta sia stato attribuito alcun consenso dal corpo elettorale, né alcun ruolo dalla Costituzione, che Lei ben conosce.
In questo voglio augurarmi che possa sostenerLa nel suo incarico quel che resta di buon senso nel M5S, dopo la sequela degli imperdonabili errori dell’ultimo periodo, con il forzato varo di una coalizione politica innaturale, che solo grazie alla Sua guida ha comunque governato per il meglio.