Ritornando alle origini, uno dei miei primi post sul Fatto Quotidiano riguardava proprio le classifiche di università, e in particolare la classifica ARWU (Academic Ranking of World Universities). Ne abbiamo parlato a sufficienza, e lo ho ribadito nel mio libro appena uscito: i ranking universitari sono adorati dai giornalisti, perché comunicativamente una classifica è un messaggio semplice e comprensibile per il pubblico che si limita a leggere senza porsi domande e perché escono in un mese avaro di notizie come agosto. Non hanno nulla a che vedere con la valutazione degli atenei, e poco con la scienza. Infatti, le classifiche non rispettano il criterio della falsificabilità: sono tutte giuste e tutte sbagliate. Non ne esiste una più o meno attendibile o rigorosa delle altre, perché non si può individuare un parametro per valutarne l’affidabilità.

Le classifiche appartengono al mondo dello sport agonistico, ove tutti i concorrenti eseguono lo stesso identico compito. Ha senso cercare di stabilire chi sia il più bravo tra Cristiano Ronaldo, Roger Federer, Federica Pellegrini e Bebe Vio? Chi compila le classifiche di università, cerca di ovviare a questo problema immaginando un ipotetico “decathlon”, ovvero creando una competizione nella quale ci sono più discipline sportive. Il punto è che la classifica finale non dipende solo dalla bravura degli atleti, ma soprattutto da quale peso viene assegnato a ciascuna disciplina. Così, ad esempio, tutte le posizioni in classifica possono cambiare in modo significativo se si dà un punteggio alto alla scherma oppure che al salto con l’asta.

Le classifiche di università non sono determinate in modo “oggettivo”, dove ad esempio, l’atleta che fa il salto più lungo è primo e i giudici si limitano a misurare in modo accurato, ma sono invece determinate in modo “soggettivo”, cioè in base a cosa il giudice (nel caso di ARWU una compagnia privata cinese) ritiene “più giusto”. Quali sono gli indicatori che dovrebbero “misurare” il valore delle università? Ad esempio, nella classifica ARWU gli ex alunni che hanno vinto un premio Nobel (con coefficiente 0.1) nello staff, il numero di articoli pubblicati su Nature o Science nel periodo 2013-2017 (con coefficiente 0.2) ma soprattutto, il numero di “ricercatori più citati”, estratti dal database Clarivate.

Un aspetto un po’ opinabile è che chi è alla guida delle università è tentato di giustificare i presunti risultati sulla base delle classifiche di università. Infatti, non solo i giornalisti, ma anche gli uffici stampa delle università pubblicizzano moltissimo le proprie performance, soprattutto quando convenienti. Le stesse persone che compilano la classifica ARWU pubblicano un ranking solo per i primi 100 posti. Per gli altri, le università sono indicate a blocchi di 50 o 100, semplicemente in ordine alfabetico. I primi anni, a diversi giornalisti (e anche a qualche professore universitario) non era chiaro questo fatto, e si sono affrettati a reclamare una posizione di prestigio tra le istituzioni italiane semplicemente in base al nome dell’università. Ne ho parlato qui, quando Bologna (grazie al fatto che il suo nome iniziava con la B) è diventa miracolosamente la prima università italiana.

Ora, la questione ordine alfabetico è stata compresa e quando le università si trovano nello stesso blocco si affrettano a fare i conti per capire chi sia la presunta prima della classe. Quest’anno nel settore delle 150-200 ci sono tre università italiane: Roma-Sapienza, Pisa e Milano Statale. È interessante notare che la compagna cinese che compila la classifica ARWU non determina quale sia la migliore università italiana, perché persino loro considerano questo dato poco affidabile. Sarebbe come affermare di aver vinto una partita terminata 0-0. Giornali e università però hanno deciso che qualcuno deve vincere per forza. L’università Sapienza ha emesso un comunicato sostenendo: “…questo risultato giunge grazie all’impegno di tutti ed è frutto di investimenti della Sapienza per quanto possibile crescenti, mirati a promuovere la ricerca scientifica di qualità e la meritocrazia, valorizzando le eccellenze, dando il giusto spazio ai talenti nelle varie discipline, come evidenziato anche dal reclutamento di top scientists […] un dato che Arwu considera come parametro di qualità degli Atenei”.

Come giustamente osservato dal sito Roars.it, il balzo avanti di Sapienza rispetto allo scorso anno deriva dal fatto che Arwu quest’anno ha incluso molti più “ricercatori altamente citati”. Le quattro “new entry” di Sapienza sono quelle che hanno permesso di superare allo sprint l’università di Pisa in classifica.

Tra i “super ricercatori” ce ne sono ben due che conosco molto bene, perché hanno lavorato presso il mio dipartimento, quello di Chimica: Bruno Scrosati e Jusef Hassoun. Bruno Scrosati (classe 1937) è un’autorità nel campo delle batterie, ma, ha è in pensione da diversi anni. Jusef Hassoun (che di Scrosati è stato allievo, e che ironicamente è nato proprio a Pisa) invece è stato ricercatore precario a Sapienza, ma dal 2015 è professore associato a Ferrara.

Quindi, anche ammettendo che le classifiche abbiano una qualsiasi attendibilità, il primo posto di Sapienza deriva da un errore materiale (aver considerato il prof. Hassoun come ancora affiliato a questo ateneo quando in realtà lo si è lasciato scappare nel 2015) e la discutibile affiliazione del prof. Scrosati, ancora all’ateneo romano. Anche il ministro (non è chiaro ancora per quanto) Bussetti si è complimentato con Sapienza.

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Da uomo di sport (è insegnante di educazione fisica) è un po’ come complimentarsi con la Juventus perché ha vinto (anzi, che a dire il vero ha pareggiato) solo grazie a due rigori davvero dubbi, generosamente concessi dall’arbitro.

Insomma, le classifiche di università sono, oltre ad essere illogiche, tutt’altro che rigorose. Forse l’unico dato da prendere in considerazione è che, esistendo nel mondo circa 20.000 università, la maggioranza delle università pubbliche italiane (46 su 67) si piazza tra le prime 1.000 al mondo, compresi molti atenei del Sud. Sarebbe quindi meglio sottolineare il notevole risultato ottenuto dall’intero sistema con risorse tutto sommato modeste che sfidarsi in un’improbabile gara a chi sarebbe il migliore per pochi centesimi di punto.

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