Il segretario del Pd mette dei paletti al dialogo col M5s: "Non si possono non considerare i disastri di questi 15 mesi. Dov'era Conte?". E poi attacca: "All'elenco delle cose fatte non può non seguire l'elenco dei disastri prodotti in economia, sul lavoro, sulla crescita, sullo sviluppo"
“Tutto quanto detto sul ministro Salvini dal presidente Conte non può che essere condiviso. Ma attenzione anche ai rischi di autoassoluzione“. A Nicola Zingaretti non è bastato il duro discorso di Giuseppe Conte contro Matteo Salvini nell’Aula del Senato. E, pochi minuti dopo il suo intervento in Senato, ha diffuso una nota molto critica sul governo gialloverde e il suo leader, tanto da sembrare voler chiudere all’ipotesi di sostegno a un Conte-bis. “In questi 15 mesi”, ha attaccato. “Conte è stato il presidente del Consiglio, anche del ministro Salvini, e se tante cose denunciate sono vere perché ha atteso la sfiducia per denunciarle?”. E non solo, Zingaretti ha chiuso ricordando quelli che secondo lui sono i fallimenti dell’esecutivo Lega-M5s: “All’elenco delle cose fatte non può non seguire l’elenco dei disastri prodotti in economia, sul lavoro, sulla crescita, sullo sviluppo. Questo è il vero motivo del pantano nel quale l’Italia è finita. Per questo qualsiasi nuova fase politica non può non partire dal riconoscimento di questi limiti strutturali di quanto avvenuto in questi mesi”. Ovvero, il messaggio chiaro che Zingaretti voleva mandare, prima di parlare di qualsiasi altra cosa e prima che Matteo Renzi facesse il suo intervento, è che il Pd prende le distanze da quanto ha fatto il governo gialloverde e, ancora per qualche ora, difende il suo ruolo di forza d’opposizione.
Dopo le dimissioni del premier Conte però, ora si apre la partita delle consultazioni e Mattarella vedrà i partiti per capire se è possibile formare una nuova maggioranza. Una strada in salita, nonostante dal fronte M5s e pure da quello dem (renziani in testa) siano arrivati segnali di apertura. E uno dei nodi fondamentali sarà appunto capire qual è il nome che può andare bene a tutte e due le parti, soprattutto per dimostrare il cambio di passo. In serata è stato sempre il segretario dem Zingaretti, interpellato dal Tg1, a parlare di quali sono le condizioni per provare a dare luce a una nuova esperienza di governo: “In una Repubblica parlamentare è giusto verificare se sono possibili altre maggioranze ma in netta discontinuità a partire dal metodo. Dobbiamo verificare non se esiste la possibilità di un nuovo contratto bensì di una ampia maggioranza su una visione di crescita del Paese, altrimenti si va al voto. Quello che mi preoccupa non sono i numeri in Parlamento, ma la serietà e la discontinuità. Non si vota un governo della paura per qualcosa, ma per dare una prospettiva al Paese. Se diamo questo futuro costruiremo una maggioranza parlamentare altrimenti andremo al voto”. Alla domanda sul che cose Zingaretti intenda per “discontinuità”, ovvero che cosa dovranno fare i 5 stelle perché per il Pd l’offerta sia accettabile, ha risposto: “Vogliamo un governo nuovo, non la continuazione dell’avventura di questi 14 mesi. Allora sì sarebbe fondata l’accusa di accordicchio. Occorre verificare se ci sono le condizioni che facciano durare la legislatura con una prospettiva di sviluppo. No a soluzioni di piccolo cabotaggio, perché non abbiamo nessuna ha paura delle elezioni”.
La possibilità di sedere al tavolo con i 5 stelle non è esclusa e anche di questo gli esponenti Pd parleranno nella direzione del 21 agosto. I rischi, come ha fatto capire Zingaretti, sono tanti e il Pd dovrà riuscire a presentarsi compatto al momento delle trattative. Uno degli ostacoli più grandi è Matteo Renzi. Il M5s ha detto che non intende dialogare con l’ex segretario e questo permetterà a Zingaretti di poter tenere le redini del gioco. Ma i renziani in Parlamento fanno pressione per far partire l’accordo e il Pd dovrà giocare bene le sue carte per riuscire a chiedere un rinnovamento totale della squadra di governo del M5s. Altrimenti, e Zingaretti su questo sembra davvero convinto, meglio tornare alle urne.