Il 'polmone del mondo' avvolto dai roghi, aumentati dall'insediamento del presidente di estrema destra. A criticarlo scienziati, ong per la tutela dell’ambiente nonché popolazioni indigene, che contestano il suo sostegno allo sviluppo delle coltivazioni agricole e allo sfruttamento minerario in zone protette
Oltre 74mila incendi nel 20019, +84% rispetto all’anno prima. Il numero più alto da quando le rilevazioni sono cominciate nel 2013. L’Amazzonia, polmone del mondo, è in fiamme. Tutto documentato da immagini impressionanti. Un dramma ambientale sul quale il presidente di estrema destra Jair Bolsonaro ha innescato una violenta polemica politica. All’origine i dati pubblicati dall’Inpe, l’Istituto nazionale per la ricerca spaziale, che ha annunciato che l’Amazzonia brasiliana è andata in fumo a un ritmo più veloce da quando lui si è insediato alla presidenza a gennaio. E lunedì pomeriggio la metropoli di San Paolo è stata ricoperta da una nube nera dovuta alle fiamme che stavano mandando a fuoco terreni degli Stati di Amazzonia e Rondonia a oltre 2.700 chilometri di distanza, mentre l’Inpe riferiva anche di oltre 9.500 incendi registrati nelle foreste da giovedì scorso, perlopiù in Amazzonia.
Un disastro che Bolsonaro ha fatto di tutto per negare: prima ha bollato i dati come “menzogne”, poi parlando con la Reuters ha rigettato ogni responsabilità, spiegando che erano gli agricoltori ad avere dato alle fiamme migliaia di ettari perché avevano bisogno di terra. La queimada è infatti una pratica agricola diffusa nelle zone rurali per preparare il terreno a nuove coltivazioni. “Mi chiamavano Captain Chainsaw (‘capitano motosega’, visti i dati relativi all’accelerazione della deforestazione in Amazzonia, ndr) – ha detto – adesso sono Nerone, mando in fiamme l’Amazzonia“. E infine ha accusato le ong di essere responsabili dei danni. Secondo l’ex militare infatti avrebbero provocato i roghi per vendicarsi del taglio dei finanziamenti decisi dal suo governo. Così, proprio mentre il Brasile ospita a Salvador de Bahia la settimana del clima, una riunione regionale sul cambiamento climatico coordinata dall’Onu a cui partecipano 3mila delegati di 26 Paesi, l’hashtag #PrayforAmazonas mercoledì è diventato su Twitter un trending topic mondiale. La bufera contro il presidente corre soprattutto sui social network e il 23 agosto i gruppi nel mondo di FridaysForFuture, il movimento ambientalista avviato da Greta Thunberg, hanno annunciato che manifesteranno davanti ai consolati e alla ambasciate brasiliani.
“De capitão motosserra agora sou o Nero, neh? Tacando fogo em tudo!”#AmazoniaSemONG
Segundo “especialistas” formados na facu do PSOL e #globolixo, a fumaça viajou 3 mil Km e atingiu os céus de Sp, através da tubulação instalada nas nuvens pelo governo Bolsonaro. ???? pic.twitter.com/xYEyQLOBba— Pathy ???????? Mito, meu malvado favorito! 2° perfil (@pathy_ngy) August 22, 2019
L’indignazione corre principalmente sui social (dove tuttavia sono state condivise anche molte foto di incendi non attuali o non relative all’Amazzonia), ma non solo: una valanga di critiche a Bolsonaro è arrivata da scienziati, ong per la tutela dell’ambiente in Amazzonia nonché popolazioni indigene, che contestano il suo sostegno allo sviluppo delle coltivazioni agricole e allo sfruttamento minerario in zone protette. Solo qualche giorno fa Norvegia e Germania, i due principali contribuenti del ‘Fondo Amazzonia’ del governo brasiliano per finanziare la protezione della foresta, avevano sospeso le loro donazioni in aperta polemica con le posizioni del presidente.
Già a luglio Bolsonaro si era scontrato con il direttore dell’Inpe, Ricardo Galvão, accusandolo di mentire sulle dimensioni della deforestazione dell’Amazzonia e di provare a minare il suo governo. E il 2 agosto Galvão aveva annunciato il suo siluramento a seguito della disputa. Adesso Bolsonaro si è scagliato contro gli scienziati dell’Inpe sostenendo che i dati “non sono collegati alla realtà” e accusandolo di danneggiare l’immagine del Paese all’estero. E ha aggiunto le insinuazioni contro le ong, senza citare alcuna prova: “Si potrebbe trattare, sì, potrebbe, ma non lo affermo, di azioni criminali di queste ong per attirare l’attenzione” contro di me, contro il governo brasiliano. È la guerra che affrontiamo”, ha detto Bolsonaro.
“Abbiamo ritirato i soldi alle ong. Ricevevano il 40% delle sovvenzioni dall’estero. Non ce le hanno più. Abbiamo posto fine ai finanziamenti pubblici” alle ong, ha proseguito. Bolsonaro argomenta che gli incendi in Brasile si verificano spesso nella stagione secca. Ma spesso i roghi vengono appiccati nel tentativo di deforestare illegalmente per fare spazio a ranch per l’allevamento del bestiame e gli ambientalisti accusano il presidente di aver incoraggiato questa pratica. La deforestazione, inoltre, è ritenuta dagli esperti anche causa degli incendi: per Paulo Moutinho, ricercatore dell’Istituto di ricerca ambientale sull’Amazzonia (Ipam), la deforestazione è la “causa principale” dell’aumento degli incendi nell’Amazzonia brasiliana. Moutinho ha spiegato la situazione come segue: “Storicamente gli incendi sono legati all’avanzata della deforestazione, insieme a periodi di intensa stagione secca. Ma nel 2019 non c’è stata una siccità così grave come negli anni precedenti, mentre c’è un aumento notevole degli incendi. Dunque tutto indica che la stagione secca non sia affatto il fattore predominante. Se ci fosse stata più siccità sarebbe stato molto peggio”.