Con l’82% di probabilità di default nei prossimi cinque anni, l’Argentina si avvia verso dieci settimane di passione prima delle elezioni presidenziali di fine ottobre, che al momento lasciano presagire la fine dell’esperienza di governo di Mauricio Macri e il ritorno del peronismo di Cristina Kirchner in ticket con il candidato presidente Alberto Fernandez. Il crollo della Borsa, l’ennesima svalutazione del peso e le improvvise misure di sostegno economico promosse dalla Casa Rosada hanno indotto il ministro delle finanze Nicolas Dujovne alle dimissioni, mentre l’emergenza povertà si acuisce giorno dopo giorno e colpisce soprattutto bambini e fasce giovani della popolazione.
“Dobbiamo capire che siamo virtualmente in condizioni di default”, è stato il commento di Alberto Fernandez, a una settimana dal successo elettorale. “Per questo i bond argentini valgono quello che valgono, il mondo ha capito che non si possono ripagare”. Il candidato di Frente de Todos ha chiesto a Macri di rinegoziare il prestito “stand-by” da 57 miliardi di dollari ricevuto dal Fmi nel 2018, definendone i termini con i candidati alle elezioni. Una possibilità che ha fatto salire di ulteriori 500 punti base il costo dell’assicurazione contro il rischio di default del Paese, secondo i dati di IHS Markit. I Credit default swap (Cds), che prima delle primarie quotavano circa 1.000 punti base, dopo l’insediamento del nuovo ministro delle finanze Hernan Lacunza hanno sfiorato i 3.000 punti, con una probabilità di default entro 5 anni dell’82 per cento. Il responsabile economico del partito di Fernandez, Guillermo Nielsen, ha poi precisato che nessuna ristrutturazione del debito è al momento prevista, puntando a evitare qualsiasi situazione di conflitto con i creditori.
Travolto dalla tempesta di mercato che ha visto crollare la Borsa del 38% e il dollaro guadagnare il 23% nei confronti del peso, lo scorso fine settimana il ministro delle finanze Dujovne ha presentato le proprie dimissioni a Macri. Figura chiave delle negoziazioni con il Fmi, dopo le due crisi monetarie dello scorso anno che avevano già provocato la svalutazione del peso del 50% è stato sostituito da Lacunza, sin qui ministro dell’economia della provincia di Buenos Aires, che ha confermato che il governo continuerà a perseguire gli obiettivi di politica fiscale. Il nuovo ministro ha assicurato che il pacchetto anticrisi annunciato da Macri, che include l’eliminazione dell’Iva fino al 31 dicembre per i prodotti del paniere di base – cioè pane, latte, olio, pasta, riso, farina, yerba mate, tè, conserve di frutta, zucchero, ortaggi, legumi, yogurt, uova – oltre all’aumento del salario minimo, il taglio delle imposte per le fasce più povere, il congelamento dei prezzi dei carburanti e del prezzo dei mutui, non andrà a pregiudicare il raggiungimento dell’obiettivo di deficit zero entro la fine dell’anno grazie al maggior gettito fiscale previsto per i prossimi mesi. Senza però fornire ulteriori dettagli.
Mauricio Macri è entrato nella Casa Rosada nel 2015, dopo anni di kirchnerismo criticati dallo stesso Fernandez, già capo di gabinetto durante la presidenza di Nestor Kirchner. “Nel secondo mandato di Cristina – dichiarava a dicembre 2015 – è difficilissimo trovare qualcosa di virtuoso. Cristina ha un’enorme distorsione della realtà”. Quattro anni fa, dopo il superamento del controllo sui cambi, imposto dal 2011, e l’avvio dell’esperienza di governo di Macri, erano sufficienti 15 pesos per 1 dollaro, all’inizio dello scorso maggio ne servivano 21, a ottobre già 41 mentre la scorsa settimana non ne bastavano 60. L’inflazione quest’anno supererà il 50% e oltre un terzo degli argentini vive in condizioni di povertà. Gli ultimi dati relativi alla popolazione urbana forniti dall’Indec, l’istituto nazionale di statistica, indicano che nel primo trimestre di quest’anno la popolazione in condizione di povertà ha raggiunto il 34,1%, in forte crescita rispetto al 25,5% dello stesso periodo dello scorso anno. La popolazione in condizione di indigenza è invece passata al 7,9%, rispetto al 4,9% del primo trimestre 2018. Su una popolazione urbana di 40,5 milioni di persone, si contano 13,8 milioni di persone povere, in aumento di 3,6 milioni in 12 mesi. Mentre gli indigenti rappresentano 2,9 milioni di persone, in crescita di quasi un milione. Ancora più drammatici i numeri che riguardano i bambini: i minori di 14 anni in condizioni di povertà nelle zone urbane hanno raggiunto il 49,6%, dal 38,2% di un anno fa, ovvero oltre un milione in più. I bambini in condizioni di indigenza sono passati dal 7,8% al 11,2 per cento. Nella fascia tra i 15 e 29 anni la povertà è cresciuta dal 30,5% al 40,1%, tra i 30 e i 64 anni si è passati dal 21,1% al 29,4%, mentre tra coloro con più di 65 anni la povertà si ferma al 9,1% dal 6,1% di un anno fa.
L’incremento di povertà e indigenza ha diverse origini. Il Paese è in recessione da due anni e all’inizio di agosto le previsioni di BBVA indicavano complessivamente nel 2019 una contrazione del Pil dell’1,2 per cento. Un decennio perduto in termini di crescita, con il Paese che già lo scorso anno era tornato ai livelli del 2009, confermando la propria storica e ciclica turbolenza economica. Secondo un documento della Banca Mondiale pubblicato lo scorso maggio, dal 1950 l’Argentina ha trascorso il 33% del tempo in recessione, più di qualunque altro stato al mondo a eccezione del Congo, precedendo Iraq e Siria, e poi Zambia e Zimbabwe. Nell’ultimo anno il crollo dei salari reali, i tagli al welfare, la crescita di disoccupazione, lavoro autonomo e informale hanno acuito il malessere argentino. Salari e pensioni non sono riusciti a seguire l’evoluzione dei prezzi, ad esempio, degli alimenti, nemmeno di quelli basici. Se le entrate sono cresciute del 35% in termini nominali, i prezzi al consumo secondo le rilevazioni dell’Indec hanno fatto registrare nell’ultimo anno una crescita di oltre il 60 per cento.
I sondaggi condotti dopo le primarie confermano i numeri delle urne, e al momento dipingono un quadro a tinte ancora più fosche per Macri. Secondo il Centro de Estudios de Opinión Pública il margine tra i Fernandez e Macri potrebbe superare il 20%, e Frente de Todos accreditarsi il 53% dei consensi, chiudendo la partita al primo turno. La lettura delle intenzioni di voto secondo le fasce di età permette un parallelo con i dati di crescita della povertà: tra i giovani compresi tra i 16 e i 25 anni, la fascia più colpita dalla crisi, il Frente de Todos ottiene il 61%, mentre Macri riesce ad avere la meglio solo nella fascia di popolazione che supera i 60 anni, ovvero la popolazione meno colpita dal collasso economico. Secondo l’istituto Clivajes, per l’85% degli argentini la questione più urgente che il prossimo governo dovrà affrontare sarà di natura economica, con la sicurezza, che nel 2015 era tra i temi che generavano più preoccupazione, ormai nel dimenticatoio. E poco effetto hanno avuto le parole all’indomani del voto di Macri, che aveva attribuito la svalutazione della moneta e l’incertezza dei mercati alla vittoria dell’opposizione. Per il 61% degli argentini le attuali difficoltà economiche sono da attribuire al governo in carica, e solo per il 15% all’opposizione.