L’11 giugno Ibrahim Ezz el-Din, ingegnere urbanista di 26 anni, sta tornando a casa nel quartiere di el-Muqattam, periferia sud-est del Cairo, quando, all’improvviso, le forze di sicurezza egiziane lo fermano, lo caricano in auto e lo portano via. Sono passati 70 giorni da quell’arresto con modalità simili ad un rapimento e di lui non si hanno più notizie. La famiglia, i suoi legali e la Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), dove Ezz el-Din presta servizio da qualche anno come professionista e attivista, hanno presentato formali richieste al Ministero dell’Interno egiziano per avere notizie sulla sua sorte. La madre ha anche scritto un telegramma al procuratore generale del Cairo per avere informazioni sul figlio, senza ricevere alcuna risposta.
Ibrahim è giovane, apprezzato, ed è scomparso. Seguendo questi canoni, la sua storia somiglia a quella di Giulio Regeni, il ricercatore friulano rapito il 25 gennaio 2016 e trovato morto la mattina del 3 febbraio al lato dell’autostrada Cairo-Alessandria. Addosso i segni profondi delle torture subite. In tre anni e mezzo di indagini, la verità sulla vicenda Regeni è rimbalzata, e sta ancora rimbalzando, addosso a pareti di gomma erette dalle autorità egiziane.
Ibrahim non è straniero, è nato e vive al Cairo e adesso sulla sua sorte campeggia un grande punto interrogativo: “Non sappiamo cosa gli sia accaduto, non abbiamo idea di dove si trovi in questo momento, addirittura i vertici della stazione di polizia di el-Muqattam hanno negato di aver mai avuto a che fare con lui. Per fortuna non abbiamo ancora ricevuto informazioni o indizi circa un rischio estremo per la sua incolumità, ma la preoccupazione è totale”. L’organizzazione Ecrf, guidata da Ahmed Abdallah e Mohamed Lotfy, sta seguendo il caso con la massima attenzione, sebbene con scarsi risultati: “Ibrahim è stato prelevato con la forza in mezzo alla strada – affermano i vertici dell’organizzazione che fornisce supporto legale ed amministrativo – Nell’immediatezza dell’episodio e nei giorni a seguire abbiamo cercato sue notizie senza ricevere alcuna informazione dalla polizia e, addirittura, senza avere spiegazioni sui motivi del suo arresto e della successiva detenzione. Non è la prima volta che il governo egiziano assume provvedimenti del genere, è capitato a noi stessi, a membri dell’Ecrf, di essere fermati e portati in carcere ma, al massimo dopo una o due settimane, la famiglia e i legali venivano informati almeno sul luogo di detenzione. Stavolta non è così. Al Ministero dell’Interno, responsabile per la sua sorte a garanzia della sua integrità fisica e psicologia, chiediamo che vengano garantiti i diritti del nostro collaboratore e che non subisca pratiche tali da mettere in pericolo la sua sicurezza e la sua dignità umana”.
I responsabili dell’organizzazione che, dal 2016, seguono il caso Regeni non lo dicono direttamente. Parlano di “pratiche” e di “dignità umana” per non usare palesemente il termine “tortura”. Non sarebbe la prima volta che il regime guidato dal presidente Abdel Fattah al-Sisi, al comando del Paese nordafricano dal 2013 dopo un golpe, viene accusato di fare ricorso a questo genere di pratica. Ne sa qualcosa la famiglia Regeni: non è un caso che la madre di Giulio sia arrivata ad affermare che “sul volto di mio figlio ho visto tutto il male del mondo”.
Non si contano, inoltre, i casi di tortura applicati da servizi di sicurezza, polizia e militari in Egitto negli ultimi anni, episodi stigmatizzati da organizzazioni internazionali, come ad esempio Amnesty International. Anche per questo suonava quasi kafkiana, sicuramente paradossale,la decisione dell’Onu, poi cancellata, di organizzare una conferenza dedicata alla definizione e alla criminalizzazione della tortura proprio in Egitto per l’inizio di settembre.
Tornando al mistero sulla sparizione del giovane urbanista, i motivi legati al fermo potrebbero essere collegati al suo passato studentesco, trascorso alla facoltà di ingegneria della al-Azhar University del Cairo. Oltre alla laurea, il giovane Ibrahim non ha mai nascosto la sua vena di difensore dei diritti umani, entrando in contatto con movimenti considerati vicini alla Fratellanza Musulmana: “Noi lo abbiamo assunto nella nostra organizzazione per le sue conoscenze accademiche e per il suo impegno legato al diritto alla casa per tutte le fasce sociali del Paese, soluzioni abitative dignitose per tutti – aggiungono i responsabili di Ecrf – Il suo passato non conta per noi, ma potrebbe aver influito nella decisione delle autorità egiziane di arrestarlo. Inoltre, dopo essere stato vicino a un partito, Ibrahim ha interrotto la sua militanza politica, iniziando con noi un percorso di attivismo inerente alle sue conoscenze. Chiediamo solo il rispetto della Costituzione, dei suoi articoli, affinché sia possibile avere informazioni su dove si trovi il nostro collega, le sue condizioni generali e le motivazioni che hanno portato al suo arresto e ad una detenzione ignota per oltre due mesi. In particolare l’articolo 54, secondo cui nessuno può essere arrestato e detenuto se non in presenza di un ordine scaturito da un’inchiesta giudiziaria. Il provvedimento, inoltre, deve essere reso noto agli avvocati e ai suoi parenti stretti. Cosa che non è avvenuta con Ibrahim Ezz el-Din. Per noi della Commissione si tratta del terzo membro attualmente agli arresti, dopo Ibrahim Metwaly e Haitham Mohamedein”.
In passato, il giovane ingegnere cairota è stato molto vicino al partito Strong Egypt, parte della galassia dei Fratelli Musulmani, il cui leader è tuttora in carcere. Fratellanza Musulmana considerata dal presidente al-Sisi un gruppo terroristico, con un maxi-processo scaturito dalla strage di piazza Rabaa, al Cairo, avvenuta il 14 agosto del 2013. Quel giorno, una manifestazione di protesta dei Fratelli Musulmani fu repressa nel sangue dalla polizia, causando oltre 800 morti. Dopo quei fatti, la giustizia egiziana ha messo sotto processo oltre 700 presunti affiliati al movimento religioso e politico. Lo scorso 17 giugno, il leader della Fratellanza ed ex presidente dell’Egitto, Mohamed Morsi, è morto, stroncato da un malore improvviso, durante un’udienza in tribunale al Cairo.