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Himalaya, il “lago degli scheletri”: l’analisi genetica infittisce il mistero sul bacino d’acqua che raccoglie centinaia di ossa di esseri umani

Un nuovo studio rivela che alcuni resti umani sparsi attorno al lago Roopkund, nell’Himalaya indiano, sono databili a più di due secoli fa e provengono dal Mediterraneo orientale

di Gabriele Gelmini

Sul versante indiano dell’Himalaya, a più di 5000 metri d’altezza, si trova un luogo decisamente misterioso. Si tratta del lago Roopkund, 40 metri di diametro, che nelle poche settimane di disgelo permette di vedere, al suo interno, le ossa di centinaia di essere umani. Da qui il soprannome con il quale è conosciuto: “il lago degli scheletri”. Nonostante l’interesse che il bacino d’acqua ha suscitato negli anni, fino all’inizio di questo secolo nessuno aveva tentato di studiare scientificamente l’origine di quei resti.

Una prima analisi scientifica, che riteneva che quei corpi appartenessero alle vittime di un unico cataclisma, trovava riscontro in una tradizione del posto. Secondo la leggenda, un gruppo di servitori al soldo di un re locale si recò in pellegrinaggio al santuario della dea Nanda Devi, non molto distante dal lago. Il loro comportamento licenzioso risvegliò le ire della dea, che li annientò con un meteorite di dimensioni apocalittiche. Tempo dopo, l’analisi di alcuni reperti rinvenuti in zona risultò compatibile con un disastro simile. Il mito si rifaceva a una catastrofe naturale che aveva avuto luogo nel IX secolo.

Ora, un nuovo studio su 38 scheletri rinvenuti attorno al lago offre nuove informazioni e infittisce i misteri. Il team internazionale, guidato dal genetista David Reich (Università di Harvard) e da Niraj Rai dell’istituto di Paleoscienze di Lucknow (India), è riuscito a suddividere quei resti in tre grandi gruppi. Rispetto a ciò che si era creduto fino ad oggi, molti di quegli individui non si sono mai incontrati: sono morti a secoli di distanza l’uno dall’altro e, probabilmente, venivano da luoghi distantissimi tra loro.

La datazione con il carbonio radioattivo ha concluso che 23 individui sono morti tra il VII e il X secolo, probabilmente in distinte occasioni. L’analisi genetica di questi gruppi segnala che tutti provengono dall’India, ma senza appartenere a una sola popolazione. I risultati più sorprendenti, pubblicati dalla rivista Nature Communications, arrivano però dagli studi compiuti sul secondo gruppo, formato da 14 individui. Il carbonio indica che per loro la morte è sopraggiunta attorno al 1800 e l’analisi genetica li mette in relazione con i popoli del Mediterraneo orientale, in particolare Grecia e Creta.

Che ci facevano 14 viaggiatori dell’Impero Ottomano occidentale due secoli fa a 5000 metri di altezza? Si potrebbe pensare che fossero in realtà discendenti degli antichi guerrieri greci che avevano conquistato la zona secoli prima, insieme ad Alessandro Magno, ma l’analisi genetica non registra gli incroci che si sarebbero dovuti produrre dopo una permanenza di oltre un millennio in India.

Per quanto riguarda il primo gruppo, il viaggio per motivi religiosi sembra ai ricercatori una spiegazione plausibile. “La pratica di pellegrinaggi verso laghi, valli o vette della regione è frequente da secoli, dunque consideriamo che i resti siano finiti lì per questa ragione”, ha commentato a El Pais Ayushi Nayak, ricercatrice dell’Istituto Max Planck di Jena (Germania) e coautrice dello studio. Ciononostante, Nayak riconosce che non vi siano sull’Himalaya altri laghi “che possiedano resti umani sparsi tutt’intorno come il Roopkund”.

Un altro dato interessante è la proporzione tra uomini (23) e donne (15) presenti tra i resti. Questo rende impossibile ipotizzare che la loro presenza si dovesse a spedizioni militari. Inoltre, tra i soggetti analizzati non risulterebbero legami di parentela. Per il momento, nonostante la grande quantità di dati presente nello studio, il lago Roopkund non perde nulla del suo fascino misterioso. Anche Rai, l’autore principale, mostra stupore di fronte al fatto che “tante persone siano giunte fin lì”, considerando che il viaggio risulta “molto rischioso e richiede almeno tre giorni di salite”. “Siamo molto sorpresi da tanta attività umana” in un luogo così inospitale, ma “i nostri studi non possono spiegare perché quelle persone vi si siano recate”, conclude.

Sulla possibilità che coloro che provenivano dal Mediterraneo fossero in realtà pionieri del turismo che oggi invade la regione, il ricercatore si mostra scettico. “Fino a dieci o quindici anni fa non vi era attività turistica intorno a questo lago. Ma non possiamo rigettare totalmente quest’ipotesi”.

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