Nel secondo giorno di consultazioni per risolvere la crisi di governo continua il calo dei rendimenti dei titoli di Stato decennali italiani. Il tasso sul Btp è sceso giovedì sotto l’1,3%, il minimo dall’inizio di ottobre 2016, e il differenziale rispetto agli omologhi tedeschi ha chiuso sotto i 200 punti. Non sorprende del resto che gli investitori, davanti all’ipotesi di un governo M5s-Pd che allontanerebbe le urne, tornino a comprare debito sovrano italiano: le politiche ultraespansive e il programma di acquisto di titoli della Bce (quantitative easing) hanno talmente compresso i rendimenti dei bond che ormai da alcuni mesi nove Paesi membri dell’Eurozona – oltre a diverse grandi aziende – “offrono” tassi negativi a chi acquista i loro titoli. In questo panorama i decennali tricolori sono evidentemente un’opzione ghiotta per chi è a caccia di rendimenti a basso rischio, visto che promettono un guadagno secondo solo a quello degli omologhi greci. Crollati a loro volta all’1,9% dopo la vittoria del conservatore Kyriakos Mitsotakis alle elezioni di luglio.
A guidare il club del sottozero è la Germania: chi investe in Bund oggi accetta di rimetterci lo 0,67% del capitale. E il 21 agosto Berlino ha venduto in asta addirittura un titolo trentennale con rendimento negativo, seppure con scarso successo di pubblico. Seguono, in ordine di rendimenti crescente, i Paesi Bassi, la Slovacchia, l’Austria, la Finlandia, la Francia (che ha emesso il primo Oat decennale a tasso negativo in luglio), il Belgio, la Slovenia e l’Irlanda. Non solo: anche Danimarca e Svezia, membri della Ue ma fuori dall’area euro, hanno tassi negativi su tutte le scadenze.
Spagna e Portogallo, un tempo accomunati all’Italia nell’acronimo Pigs che indicava i Paesi europei meno virtuosi nella finanza pubblica, non sono ancora ai rendimenti sottozero sul decennale ma ci stanno arrivando visto che hanno visto scendere a valori negativi i tassi dei titoli a più breve durata, fino ai 9 anni per Madrid e fino agli 8 per Lisbona.
Sopra quota 1%, oltre alla Grecia, ci sono ormai solo pochi emergenti dell’Europa orientale con governi accusati di derive autoritarie: dall’Ungheria di Viktor Orban alla Polonia alla Romania, unico Stato europeo ad offrire ancora un rendimento del 4%. Il Paese è alle prese da più di due anni con frequenti proteste di piazza contro la corruzione e alcuni tentativi di riforma della giustizia mirati secondo l’opposizione a salvare dal carcere l’ex presidente della Camera e leader del Partito social democratico Liviu Dragnea. Al referendum del 26 maggio gli elettori hanno respinto un’amnistia per i reati di corruzione e il giorno dopo Dragnea è stato condannato in appello per abuso d’ufficio. Ma le manifestazioni contro la premier Viorica Dăncilă, sua fedelissima, continuano ancora oggi.