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Trump, l’Eletto che nega i vaccini ai bimbi detenuti al confine col Messico

Due notizie – apparentemente prive d’ogni una logica interconnessione, ma quasi contemporaneamente apparse, nelle ultime ore, su quasi tutti i media internazionali – riescono come d’incanto a regalarci, se adeguatamente sovrapposte, un ritratto a tutto tondo (ed in ogni sua parte agghiacciante) della strana creatura che, da più d’un paio d’anni, siede sul più alto scranno del pianeta Terra. Quella strana creatura – mai vista, a tanto alta quota, prima dell’anno 2016 – è ovviamente Donald J. Trump, presidente degli Stati Uniti d’America. E le due notizie – tre, se si considera che la seconda è, per così dire, una doppia – sono quelle che seguono.

Prima notizia: nonostante il proclamato pericolo di epidemie – preannunciato dalla morte di tre bambini negli ultimi mesi – l’amministrazione di Donald Trump non intende fornire di vaccini anti-influenzali i centri di detenzione (o i “campi di concentramento”, come ampliamente testimoniato da decine d’inchieste e di servizi fotografici) nei quali sono rinchiusi i migranti (circa 200.000) che, giunti prevalentemente dall’America Centrale, ingabbiati come animali attendono che la loro richiesta d’asilo venga processata. Una decisione, questa, certo crudele oltre i limiti dell’infamia (o, se si preferisce, trumpianamente crudele), ma anche a suo modo del tutto coerente, avendo Trump più volte sottolineato – specie per bocca di Stephen Miller, il più influente dei suoi consiglieri in materia d’immigrazione – come le pessime condizioni di reclusione (con malattie e morte evidentemente incluse) siano il modo più efficace per ridurre, in attesa del famoso “muro” che il Messico doveva pagare, flussi migratori indesiderati ed indesiderabili.

(Trump, per il quale la logica formale è notoriamente soltanto un optional, ha per la verità anche detto, contemporaneamente a quanto sopra, che le condizioni di detenzioni sono ottime, ma non complichiamo troppo le cose).

Seconda notizia: in una improvvisata dichiarazione di fronte ai giornalisti ed in una delle sue quotidiane raffiche di tweet, Donald Trump, ha ieri prima definito se stesso “The Chosen One”, il Prescelto o, ancor meglio, l’Eletto. Eletto non solo e non tanto dagli elettori (che peraltro, com’è noto, votarono in maggioranza per Hillary Clinton), quanto – come le maiuscole stanno chiaramente ad indicare – da Dio medesimo. E questo al fine di contrastare la Cina, colpevole di troppo a lungo impunite malefatte in materia di commercio. Non contento di questa auto-elevazione a messia anti-cinese, a solo poche ore di distanza il presidente Usa ha quindi con gran ardore approvato, ritwittandolo, quel che di lui aveva il giorno prima estaticamente detto, nel corso d’una sua trasmissione su NewsMax-tv (una rete della destra estrema) Wayne Allyn Root, uno dei molti personaggi che, in altri tempi classificabili come “lunatic conspiracy theorists”, complottologi pazzoidi, sono oggi autorevolissima parte del mainstream trumpiano.

Che cosa aveva detto Wayne Allyn Root? Aveva, con esaltati accenti, definito Trump “il più grande presidente della storia del mondo per Israele”, svillaneggiando gli ebrei americani i cui tre quarti – cosa non sorprendente trattandosi d’una delle più colte minoranze statunitensi – si contrappongono a Trump ed al trumpismo. Wayne – uno che non perde occasione per ostentare la più trumpiana delle virtù, l’ignoranza crassa e compiaciuta – non ha esitato a sostenere che Trump, al pari di Saul, David, Salomone e via regnando, è dal popolo ebreo venerato, non solo come “The King of Israel”, il re d’Israele, ma addirittura come “the second coming of God”, la seconda venuta di Dio. Laddove anche i bambini sanno che, non avendo riconosciuto alcuna “prima venuta” (quella di Cristo), gli ebrei non sono in attesa di alcun bis, tantomeno se nelle vesti di proprietario di attività andate in bancarotta e “bugiardo” cronico (Trump si appresta, secondo i fact-checkers, ad abbattere la barriera delle 13.000 menzogne) il cui unico credo è quello d’una narcisistica fede in se stesso. E tanto più se si considera che, stando al capitolo 36 del Vangelo di San Giovanni, un eventuale “second coming” del Redentore altro non significherebbe che la definitiva conversione del mondo intero al cristianesimo con la conseguente (ed altrettanto definitiva) scomparsa dell’ebraismo.

Non è la prima volta che Trump eleva se stesso – o si compiace d’esser elevato dai suoi più o meno interessati ammiratori – a queste bibliche altezze. Un anno fa, grato per il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele – Benjamin Netanyahu lo aveva senza ironia (altra virtù a Trump del tutto estranea) paragonato a Ciro II di Persia, meglio noto come Ciro il Grande. Vale a dire al monarca che – inviato da Dio, anche se lui, un infedele, neppure lo sospettava – nel VI secolo prima di Cristo spodestò Nabucodonosor II, liberando il popolo ebreo dalla cosiddetta “cattività babilonese”. Ed alcuni gruppi evangelisti – quelli che fanno capo alla poderosa Liberty University – vanno da tempo propagandando quella che (narrata in un libro e già diventata un film) va sotto il nome di “Trump prophecy. Ovvero: la storia delle miracolose rivelazioni che, nell’aprile del 2011, il Padreterno avrebbe fatto a Mark Taylor, un pompiere pensionato e suo umile servo, predicendogli l’ascesa di Trump alla presidenza al fine di restituire l’America alle sue cristianissime origini in vista d’una prossima Apocalisse.

Di questo multiplo processo di trumpiana beatificazione è ovviamente lecito attendersi – come del resto i tweet di Trump già preannunciano – una escalation in vista delle prossime presidenziali. E molto facile è farsi beffe della caricatura di religione – una caricatura di religione al servizio d’una caricatura di presidente – di cui tutto questo è espressione. Provate però, una volta finito di ridere, a far due cose. La prima: a considerare che quella caricatura di presidente è anche, a tutti gli effetti, il vero presidente. E, la seconda, ad accostare le ultime notizie sullo “Chosen One” a quella sul mancato invio di vaccini nei “campi di concentramento” degli immigrati. Il risultato è quello, tristissimo e terrificante – tristissimo per quello che è e terrificante per quel che ci racconta – d’una “strage degli innocenti” rivoltata come un guanto, con l’Eletto da Dio nelle vesti di Erode.

Quella di Trump “scelto da Dio” non è, ovviamente, che la più volgare delle bestemmie. Una bestemmia nella quale, tuttavia – e proprio per la sua volgarità – con tenebrosa fedeltà si specchia (come anche il Salvini che bacia il rosario ci insegna) il mondo nel quale stiamo vivendo.