Il diritto penale è un insieme di norme attraverso le quali lo Stato avoca a sé la gestione di conflitti attorno a episodi di rilevanza tale da non poter essere lasciati nelle mani di soluzioni private, con il loro carico di emozioni, interessi e possibili desideri di vendetta. Ciò che è scritto nel codice di procedura penale è ciò che serve a un esercizio dell’azione penale capace di essere efficace e offrendo al contempo ogni garanzia individuale a chi, presunto innocente, si trova a essere destinatario di tale azione.
Le misure cautelari personali – come quella del divieto di dimora, cui è sottoposto l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano – sono rigidamente regolamentate e hanno finalità ben precise ed enumerabili. Tali misure, da adoperarsi là dove si riscontrino gravi indizi di colpevolezza nei confronti della persona sottoposta a procedimento penale, servono per evitare che la persona stessa possa inquinare delle prove utili per la ricostruzione dei fatti accaduti, oppure per evitare che possa darsi alla fuga, o ancora che possa ripetere i reati di cui viene accusata. La loro applicazione, al di fuori della stretta prevenzione di questi rischi, si traduce in una illecita pena anticipata o in una vendetta che mai e poi mai dovrebbe riguardare la pubblica autorità.
Il divieto di dimora è una misura che ha un proprio senso quando si tratta ad esempio di sradicare presunti esponenti della criminalità organizzata da un territorio sul quale si corre il rischio di un controllo malavitoso. Non vi è alcun nesso eziologico individuabile invece tra una visita di Lucano al padre in fin di vita e una qualsiasi azione criminale sulla città di Riace o sul cosiddetto processo “Xenia”. La sciocca inerzia del sistema, la burocratica adesione a prescrizioni inutilmente codificate (non voglio infatti pensare che si tratti di un esplicito moto vendicativo da parte dei magistrati) è probabilmente quel che oggi determina una situazione contraria a ogni senso di umanità, oltre che a diritti protetti dalle norme internazionali sui diritti umani quali quello al mantenimento delle relazioni affettive.
Oggi a Mimmo Lucano si sta infliggendo una crudele e del tutto inutile sofferenza, negandogli di salutare il padre. Le sofferenze inutili e crudeli inflitte dalla pubblica autorità sono sempre da avversare con forza. Lo sono, chiunque riguardino. Anche nei confronti di persone condannate per crimini comunque gravi e che si trovano in carcere. Pure in questo caso, lo Stato deve saper dimostrare la propria forza non abbassandosi mai al livello infimo della vendetta. Figuriamoci nel caso di Mimmo Lucano, presunto innocente e sottoposto a un procedimento penale che ancora non ha visto il primo grado e chissà quando è destinato a concludersi.
Sul web è stata lanciata una petizione che chiede si dia a Lucano la possibilità di stringere la mano del padre al suo capezzale. In tanti la stanno firmando. Ci auguriamo che la si ascolti. Che si ascolti la voce di chi non vuole mai che la giustizia abbia il volto truce della disumanità.