“Premessa: un figlio è meglio farlo con un marito ed è meglio dare a un bambino una famiglia, anche omogenitoriale, anche se io sono per la famiglia tradizionale. Ma ero single, a 38 anni, un’età biologica avanzata, mi trovavo sola con mia madre, dopo la morte di papà; a Natale, alle Maldive con lei, pensavo alle case, le terre ereditate: eravamo sole, va allargata la famiglia, penso”. A parlare così è Carmen Consoli che si è raccontata in una lunga intervista al settimanale 7 del Corriere della Sera.
La cantante ha avuto Carlo, che oggi ha 5 anni, grazie alla fecondazione assistita e ora il bambino vive con la cantante e con sua nonna, Rosa. Un uomo, certo, avrebbe potuto trovarlo, un “fan o toy boy”, dice Carmen. “Ma – aggiunge – non volevo illudere il “poveretto“. Non volevo illudere nessuno, né dare a mio figlio una famiglia che si sarebbe sfasciata. Mi sono informata, ho letto studi su ragazzi ormai maggiorenni nati con la fecondazione assistita da genitori single: con il giusto amore, e i punti di riferimento, crescono come ragazzi di famiglie etero cosiddette normali. Andai allora a Londra, dove è possibile fare la fecondazione assistita con il non anonimato del donatore: Carlo potrà sapere chi è il padre, se vorrà“. Una scelta, la sua, che non ha niente a che fare con l’egoismo di essere “madre a tutti i costi”: “In Inghilterra il governo ti mette uno psichiatra che stabilisce se tu, madre single o in coppia etero o omo, sei idonea. Ti chiedono se lo fai come antidoto alla solitudine, se è compatibile con il tuo lavoro. Non vanno bene le donne troppo in carriera. Anche fare l’artista li frenava, con me, a chi lo lasci? Ma poi hanno capito che avevo persone fidate come punti di riferimento e non volevo fare una copia di me, non era narcisismo”.