Ci meritiamo la crisi di governo. Anzi, a essere più severi meritiamo questa classe politica litigiosa che guarda al proprio orto piuttosto che al paese. D’altra parte abbiamo barattato la ragion collettiva per quella del singolo, accontentandoci della mediocrità.
Tale scambio deve essere avvenuto con la fine dei partiti e dei sindacati di massa che erano il luogo d’incontro socio-politico. Al tramonto di questi aggregatori abbiamo pensato che i social network potessero diventare uno strumento alternativo, invece hanno solo accentuato l’individualismo: dico la mia e non ti ascolto. La classe politica italiana ne è lo specchio.
Per definire chi siede a palazzo Chigi e a palazzo Madama possiamo infatti usare l’aggettivo mediocre. Quando Matteo Salvini si è fatto fotografare intento a ballare in spiaggia con avvenenti signorine, ha cominciato a girare una foto che faceva il parallelismo fra lui e la compostezza di Aldo Moro. “Doveva essere sempre dignitoso e presentabile” perché, ricordava Agnese Moro parlando del padre, “rappresentante del popolo italiano”. Oggi no: abbiamo premiato chi urla, come Paola Taverna o Giorgia Meloni, perché riteniamo leader chiunque abbia le capacità di alzare la voce più degli altri o di fare il post migliore su Facebook.
La dialettica politica odierna non è paragonabile neanche a quella degli esponenti da Prima repubblica – alcuni ladri – generalmente acculturati, divoratori di libri. Non come Antonio Razzi, esperto di turpiloquio e divoratore in cucina, o Matteo Renzi che, insieme a Salvini e Luigi Di Maio in questi anni hanno insegnato il teorema della destrezza dialettica da talk show: chi la spara più grossa vince.
Ci siamo accontentati del meno peggio. La strategia del “meglio il male minore” non è assolutamente quella vincente perché ci lascia in balia degli stregoni della demagogia e del populismo; di tutti quelli che gridano “al lupo!” quando non c’è nessun pericolo. Un esempio? I migranti della Open Arms strumentalizzati all’inverosimile e diventati, loro malgrado, il terreno di scontro della politica. In controluce, l’immigrazione delle centinaia di migliaia di italiani che lasciano il paese ogni anno – la maggior parte con laurea in tasca –, in cerca di fortuna all’estero, non viene presa in considerazione.
La crisi di questi giorni deve farci pensare a noi: come può questo popolo di navigatori, poeti e ristoratori smettere di accontentarsi?