Se la logica ha ancora un senso c’è una cosa che vorremmo capire. Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, sostiene di aver messo un veto su Giuseppe Conte premier non per una questione riguardante la persona, ritenuta anzi eccellente, ma perché l’eventuale nuovo governo deve nascere nel segno “della discontinuità”. In un’intervista a il Messaggero lo stesso Zingaretti spiega però che nell’ipotetico esecutivo giallorosso può invece entrare Luigi Di Maio (alcuni giornali scrivono addirittura come ministro dell’Interno). Se questo è il quadro, qualcosa nelle affermazioni di Zingaretti non torna.
È stato Di Maio siglare il contratto con la Lega, anche nelle parti che tanto non piacciono al Pd. Non Conte. Il premier uscente, è vero, ha tentato di rendere possibile l’attuazione di quel patto, poi stracciato da Matteo Salvini. Ma altrettanto ha fatto Di Maio. Conte, poi, con un discorso di alto profilo ha dato una lezione di diritto istituzionale e di buone maniere al leader del Carroccio e non ha tentennato quando la Lega ha ritirato la sua mozione di sfiducia. Tanto da arrivare a considerare “che solo la durezza del mio discorso non ha impedito ai seviziatori della Lega di tornare dai seviziati 5Stelle. E forse impedirà ai seviziati 5Stelle di cadere vittima della sindrome di Stoccolma e di tornare con i seviziatori”.
Per questo il segretario di Pd ha ora il dovere di spiegare, se è in grado, perché, secondo lui, con Di Maio nel governo sarebbe garantita “la discontinuità” richiesta e con Giuseppe Conte no. Noi riteniamo che avrà difficoltà a farlo. Perché il veto su Conte, al contrario di quanto afferma, appare “personale”.
Conte, che non è un iscritto al Movimento 5 stelle, secondo i sondaggi ha un indice di gradimento del 61%, superiore di 13 punti rispetto a quello di Salvini, di 15 rispetto a Di Maio e di 17 rispetto al segretario del Pd. Ha ottime relazioni negli Usa e nella Ue. Ha dimostrato capacità di mediazione, ma anche una buona dose di attributi. È forse l’unico personaggio politico in grado di far digerire a molti elettori un governo che nasce decisamente impopolare.
E allora domandiamo. Non è che per Zingaretti (ma non per tutto il Pd) la parola discontinuità significhi invece “paura che ci faccia ombra”? O che invece il veto serva addirittura per far saltare le trattative e andare a elezioni? Il segretario del Pd sa bene che le perderà. Che Salvini, l’uomo che ha chiesto “pieni poteri”, sarà premier. Una situazione sgradevole, certo. Ma almeno un risultato lo porterà a casa: tutti i renziani che oggi hanno la maggioranza nei gruppi parlamentari saranno sostituiti da suoi fedelissimi.
Intendiamoci, in democrazia è perfettamente lecito tentare di far prevalere la propria parte. Ci chiediamo però come Zingaretti farà campagna elettorale. Dire a cittadini che Salvini è il peggio, quando grazie ai propri veti lo si sta per mandare al governo, non sarà un grande slogan. Tanto vale che dica: votatemi per perdere ancora.