Prima di salire sul volo che lo porterà in Francia per partecipare al G7 di Biarritz, Donald Trump firma l’ultimo capitolo della guerra dei dazi con la Cina. Lo fa con un tweet in cui fa capire che potrebbe usare i poteri conferiti al presidente in caso di dichiarazione di emergenza nazionale per ordinare alle imprese Usa di lasciare la Cina: “Per tutti quei giornalisti Fake News che non hanno idea di che cosa dica la legge riguardo ai poteri presidenziali, la Cina, eccetera… Andatevi a guardare l’Emergency Economic Powers Act del 1977. Caso chiuso!”. Parole che seguono la decisione di venerdì di aumentare ulteriormente le tasse su 250 miliardi di prodotti cinesi. Poi fa tremare la Francia (ma anche l’Italia) in caso di tasse sull’high tech americano: “Se lo faranno, io tasserò il loro vino come non hanno mai visto”, ha detto.
La dichiarazione dello stato di emergenza economica a cui ha fatto riferimento il presidente Usa, usata da Washington nel 1979 contro l’Iran dopo la Rivoluzione Islamica, darebbe a Trump ampia autorità per bloccare le attività delle singole società o di interi settori economici. Il tycoon ha già minacciato di ricorrervi nei mesi scorsi, quando ha ipotizzato dazi al Messico per l’emergenza immigrazione. Così, anche in questa occasione, ha invitato le società Usa a “iniziare a valutare alternative alla Cina, compresa quella di ritornare a casa e produrre prodotti negli Usa”.
L’offensiva di venerdì lanciata da Trump è una risposta alla decisione di Pechino di imporre dazi su 75 miliardi di dollari di prodotti Made in Usa. The Donald ha risposto alla scelta cinese annunciando su Twitter che a partire dal 1 ottobre saliranno al 30% i dazi su 250 miliardi di dollari di prodotti cinesi sui quali, al momento, è prevista una tassazione al 25%. Sui restanti 300 miliardi di dollari di prodotti dalla Cina colpiti dai dazi che scatteranno l’1 settembre, questi saliranno dal 10% al 15%.
La nuova tassazione cinese, inclusa nella forchetta del 5-10%, peserà invece su 5.078 beni Usa, secondo l’Ufficio dei dazi del governo cinese. In aggiunta, le misure al 25% sull’import di auto e al 5% sulle componenti di auto saranno efficaci dal 15 dicembre, dopo la sospensione dello scorso 1 aprile per favorire il dialogo. L’applicazione si articolerà in due fasi: su un primo gruppo di beni, i nuovi dazi saranno del 10% dall’1 settembre, mentre l’aliquota sul secondo gruppo sarà del 5%, effettiva dal 15 dicembre.
Negli ultimi giorni, Pechino ha di nuovo invitato l’amministrazione Usa a “ritrovarsi a metà strada” ed evitare una nuova escalation delle tensioni commerciali e i danni all’economia globale, con la minaccia di recessione che sarà all’esame dei leader del G7. Un vertice, quest’ultimo, che appare in salita, anche perché prima di partire il presidente Usa ha voluto mandare un messaggio anche alla Francia e a Emmanuel Macron: “Non mi piace quello che ha fatto la Francia, una tassa tecnologica sulle nostre tech companies. Se lo faranno, io tasserò il loro vino come non hanno mai visto”, ha detto sottolineando di non essere “un grande fan” delle industrie tecnologiche che sono però “grandi compagnie americane e francamente non voglio che la Francia vada e le tassi”.
Ma la minaccia di una tassa sui vini Made in France preoccupa anche il principale concorrente del settore, l’Italia, che è anche il primo esportatore di vino verso gli Stati Uniti, sia per quantità che per valore complessivo. “Si alimenta una pericolosa spirale che – sottolinea la Coldiretti in un comunicato – rischia di travolgere i rapporti commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea, sui quali pende la pericolosa procedura avviata dal Dipartimento del Commercio statunitense (Ustr) nell’ambito dello scontro sugli aiuti al settore aeronautico che coinvolge l’americana Boeing e l’europea Airbus. L’amministrazione Trump ha elaborato una black list di prodotti europei sulla quale applicare un aumento delle tariffe alle importazioni fino al 100% del valore in caso di mancato accordo sul contenzioso”.
E a pagare il conto più salato, in quel caso, sarebbero proprio i prodotti dell’agroalimentare: “In gioco – sottolinea la Coldiretti – ci sono 4,5 miliardi di esportazioni Made in Italy con settori di punta dell’agroalimentare nazionale in Usa, a partire dal vino, che con un valore delle esportazioni di 1,5 miliardi di euro nel 2018 è il prodotto italiano più colpito, l’olio di oliva, le cui esportazioni nel 2018 sono state pari a 436 milioni, la pasta, con 305 milioni e i formaggi, con 273 milioni”.